21a Settimana Alfonsiana – Palermo 19-27 settembre 2015
È cominciata oggi a Palermo la 21a Settimana Alfonsiana, sul tema: “Mentr’erano a mensa Gesù disse: “Uno di voi mi tradirà. Uno che mangia con me”. Gli dicevano uno dopo l’altro: “Sono forse io?”. (Marco 14, 18-19)
Programma:
Sabato 19 Settembre 2015
Ore 21 – Conservatorio “Vincenzo Bellini”, via Squarcialupo – Concerto del Balarm Sax Orchestra;
Domenica 20 Settembre 2015
Ore 21 – Padri redentoristi – via Badia, 52 – Gli Archi Ensemble;
Lunedì 21 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Interverranno Nino Fasullo direttore della rivista Segno, Salvatore Ferlita, Università Kore di Enna, Serafino Fiore superiore provinciale dei Redentoristi, Roberto Lagalla rettore Università di Palermo, Leoluca Orlando sindaco di Palermo e Gianni Vattimo Università di Torino;
Martedì 22 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Giancarlo Gaeta Università di Firenze, Simona Forti Università di Torino e Gianfranco Perriera Regista Teatrale;
Mercoledì 23 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Guido Corso Università di Roma, Raniero La Valle, giornalista e scrittore e Paolo Ricca Facoltà teologica valdese di Roma;
Giovedì 24 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Marcello Flores Università di Siena, Giorgio Jossa Università di Napoli e Maria Concetta Sala docente e filosofa;
Venerdì 25 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Massimo Cacciari Università San Raffaele, Milano, Rita Fulco Università di Messina e Giuseppe Pignatone Procuratore Capo della Repubblica di Roma;
Sabato 26 Settembre 2015
Ore 17 – Padri Redentoristi via Badia 52 – Romano Prodi “La politica mondiale e il Mediterraneo”;
Domenica 20 Settembre 2015
Ore 21 – Oratorio di Santa Cita, via Valverde – Concerto dell’Orchestra Alfonsiana.
Tema
Il tradimento di Gesù
Mentr’erano a mensa Gesù disse ai Dodici: “Uno di voi mi tradirà. Uno che mangia con me”. Gli chiedevano uno dopo l’altro: “Sono forse io?” (Marco 14,18-19; Matteo 26,20-25).
Con queste parole – tema della 21a Settimana Alfonsiana – iniziava la Passione di Gesù che si sarebbe conclusa sul Golgota. Risalta da esse la coscienza di dovere affrontare, senza paura e esitazione, l’ultima tentazione della sua vita. È significativo che sia lui stesso a denunciare il proprio tradimento e a dire che il traditore ce l’ha davanti e mangia con lui.
Possiamo immaginare lo scandalo e l’angoscia dei discepoli nel sentire queste parole che, mentre danno senso reale alla possibilità che ciascuno possa essere il traditore, revocano per sempre l’idea che si possa essere del tutto estranei al destino altrui e vivere da indifferenti. La questione che Gesù pone alla coscienza dei discepoli – di ogni uomo – è quindi nella domanda: chi è veramente Giuda? Per caso un piccolo traditore ce lo portiamo dentro, nascosto nei recessi dell’anima?
I discepoli reagiscono alla denuncia del Maestro manifestando “uno dopo l’altro” la propria costernazione e paura. Anche Gesù è scosso davanti all’abisso di solitudine che il traditore gli presenta mentre lo consegna a Caifa perché venga ucciso. Questo è infatti il tradimento: mettere l’amico – un uomo – nelle mani di chi ha il potere di togliere la vita e, se possibile, cancellare la memoria stessa della vittima. Ciò che Gesù sperimenta adesso è inedito: il “tradimento del credente” cui aveva “fatto conoscere tutto ciò che aveva udito dal Padre” (Gv 15,15). Ma non fa nulla per dissuadere Giuda. Forse lo disarma l’amarezza di vedersi trattato proditoriamente dal discepolo. Quando il traditore lo raggiunge nel Getsemani, insieme agli sgherri di Caifa per arrestarlo, Gesù si lascia baciare. Ma non si trattiene dal fargli notare: “Giuda, con un bacio consegni il Figlio dell’uomo?” (Lc 22,48). Un appello? l’indicazione della porta socchiusa?
La domanda necessaria: perché Giuda tradisce Gesù? Cosa lo spinse a un gesto così estremo e odioso? Sono state avanzate ipotesi più e meno o affatto convincenti: la riflessione è aperta. Ma abbiamo un dato assai solido e significativo – attesa l’autorità dei Vangeli – rappresentato dai suoi movimenti. Basta seguirli. Vediamo Giuda che va a bussare alla porta di Caifa – il potere! – a offrirgli la testa di Gesù (cf Mc 14,10-11). Il motivo? L’avere fatto proprie le ragioni del potere, ovvero, degli avversari di Gesù: sacerdoti, scribi e farisei, i quali altro non cercavano che disfarsi del Nazareno. Giuda s’era convinto – da solo? “illuminato” da altri? – che Gesù era pericoloso e eversivo dell’ordine sociale, religioso e etico. Andava dunque fermato per sempre. Perché era impossibile trattare con uno come Gesù che proclamava: Beati i poveri, guai ai ricchi, beati coloro che piangono e hanno fame e sete di giustizia (Mt 5). Giuda conosceva bene non solo la fermezza di Gesù, ma che la questione “poveri e giustizia” era il cuore del suo messaggio. Lo consegnò.
Importante è osservare che il gesto di Giuda nasce all’interno dei Dodici, nel gruppo che segue il Maestro e con lui fa comunità. Gesù il tradimento lo sperimenta subito, ai primi passi del movimento da lui suscitato: molto prima dell’editto costantiniano del 313. Vuol dire che il Vangelo ha al suo interno il principio che tende a distruggerlo?
La testimonianza dei Dodici, raffiguranti la totalità dei credenti, si muove sulla linea d’ombra di una fede non di rado sul punto, direbbe sant’Alfonso, di “voltare le spalle a Dio”; di accusarlo di non sapere mantenere le promesse fatte ai poveri proclamati “beati”; di sfiduciarlo; di usarne il nome senza troppi scrupoli, specie se si è presi dal “fascino” del potere (sempre a fin di bene!). Il caso Giuda sembra dimostrare che la forma-sequela di Gesù è la più esposta al tradimento. Ed è significativo che l’unica vera domanda di Gesù, rivolta non solo a se stesso, riguardi la tenuta della fede: “Il Figlio dell’uomo, venendo, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
Ormai i seguaci di Gesù possono reimparare a credere in modo rinnovato, facendo spazio anche alla fede di chi non crede. E favorendo comunità di credenti più larghe e inclusive. Fu questa infine l’esperienza di Gesù, che morì per tutti privo di conforto e solidarietà. Mentre era sostenuto da chi, stando ai piedi del supplizio, insultandolo lo spingeva paradossalmente a credere e resistere fino all’ultimo fiato. La sua estrema preghiera fu: “Elí, Elí, lemà sabactàni” cioè “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Poi “gridando di nuovo a gran voce, rese lo spirito” (Mt 27,50). Perfetto questo Gesù. Non smise mai di credere. Neppure mentre la fede gli crollava addosso.
Nino Fasullo