35 – Il servo di Dio Vito Curzio
di P. Claudio Benedetti, 1903 – traduzione di P. Antonio Panariello, 1998.
Le date ufficiali
dal Catalogus Sodalium.
- Nascita = 1707
- Morte = 18-set-1745
- Professione perp. = 09-mag-1743
Il profilo (le date sono state conformate a quelle ufficiali)
Dio che fa sgorgare acqua dalla roccia ed è capace di generare figli di Abramo dalle pietre, trasformò il suo servo Vito Curzio in un uomo talmente pentito della sua passata condotta che egli è considerato uno dei membri più perfetti della nascente Congregazione del SS. Redentore.
Nato ad Acquaviva, in Puglia, nel 1707 da una famiglia onesta, passò la giovinezza nel maneggio delle armi, era irascibile e talvolta malmenava gli altri. A 26 anni, mentre soggiornava a Napoli per affari affidatigli dal marchese del Vasto, incontrò al momento giusto il ven. Cesare Sportelli procuratore dello stesso marchese, divenendone amico. Persuaso dai suoi inviti, a poco a poco cominciò a calmare la rabbia, da cui era di solito afferrato.
Quindi nel 1732, un intervento divino lo portò a contatto con S. Alfonso, che in sogno egli aveva visto gettare le fondamenta del nascente istituto, e gli chiese di esservi ammesso come fratello laico per aiutarlo a costruirlo. Accontentato, si unì a S. Alfonso che si recò con i primi compagni a Scala per dare inizio, finalmente, al nuovo istituto richiestogli da Dio.
Subito la fedeltà di Vito fu messa alla prova. Infatti, mentre per sopraggiunte difficoltà gli altri compagni, che erano affluiti a Scala, lasciavano Alfonso e non ancora erano entrati nella nascente Congregazione i vari Gennaro Sarnelli, Cesare Sportelli e Giovanni Mazzini, il solo Vito rimase fedele al Santo, gli fu d’aiuto e di conforto nella sua triste solitudine.
Quando, fin dal primo giorno, gli fu ordinato di servire a mensa, su stimolo del demonio fu colto da un improvviso scatto di ira e di orgoglio; ma con l’aiuto del suo Angelo custode, subito si calmò. In poco tempo dominò il suo carattere ribollente e divenne un agnello mansueto. Ebbe la grazia di arrivare a quel tipo di preghiera che si accompagna a lacrime abbondanti. Ma, dopo un anno s’inaridì la sorgente di dolcezza e la sua anima cadde nell’aridità e nelle tenebre. Così si lamentava con S. Alfonso: “Non so donde provenga questo stato. Il dono della preghiera in un istante mi ha lasciato. Durante la preghiera so che Dio mi è vicino, ma mi sfugge cosa pensare o dedurre da ciò”.
Convinto dal Fondatore, continuò a porre in Dio una fiducia più grande. Per sottomettere il corpo allo spirito, volle martoriarlo con veglie, digiuni, flagelli, cilizi rozzi e ogni tipo di supplizi. Inoltre, poiché in quel momento non c’erano altri fratelli e mancava il denaro con cui si potesse procurare il necessario, si assunse il peso di badare a tutto. Egli che prima nel mondo, insofferente ad ogni giogo, non si era mai piegato a nessuno, ora con umiltà e meravigliosa prontezza spazzava le stanze, cuoceva il cibo, serviva a tavola, attingeva l’acqua, lavava i piatti, trasportava legna e faceva altre simili cose.
Fu così disponibile verso i confratelli ammalati da cedere il suo lettuccio al beato Gennaro Sarnelli che era di salute cagionevole, oltre alle altre premure che gli riservava. Quanto più nel passato era stato superbo, tanto più volle comportarsi con umiltà. Si scelse i compiti più umili né si vergognò di spazzare i letamai.
Coltivò l’obbedienza sino alla morte. Ricevuto, infatti, l’ordine di recarsi nella casa di Deliceto, vi si recò subito sempre pronto ad eseguire gli ordini dei superiori. Per il clima malsano fu colpito dalla febbre, rimanendo a lungo a letto con pazienza senza vivere né morire, ma solo conformato alla volontà di Dio.
Dopo che serenamente fu spirato, ricevette attestazioni pubbliche di dolore e di stima. S. Alfonso, che per la morte del compagno non poté frenare il pianto, ne scrisse la vita e la pubblicò. Sulla sua immagine si legge: “Fratello Vito Curzio, straordinario nella sua umiltà, mortificazione, carità. Morì a Deliceto il 18 settembre1745, consumato dal desiderio di vedere Dio”.