Umanista del ‘700

Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori
0. Presentazione

«Un gigante. Un gigante della storia della spiritualità; e della storia tout court». Così Jean Delumeau, professore al Collège de France a Parigi, ha definito il nobile cavaliere avvocato Alfonso de Liguori (1).
Un tipo d’uomo rarissimo per l’ingegno multiforme: pittore, poeta, musicista, architetto, avvocato, teologo, moralista, sto rico, apologista; oratore affascinante, fondatore di un Istituto missionario, vescovo zelantissimo; scrittore tra i più fecondi e più letti dal Settecento ad oggi. Un uomo straordinario: per la vastità del sapere; per la tranquilla immediatezza con cui entrava in un argomento e ne veniva fuori; per la piacevole sicurezza con cui affrontava un problema e ne dava la soluzione; per la speranza che era in grado di dare pure all’ultimo dei disperati; per la gioia che è stato capace di regalare a chi era immerso nella sofferenza.
Egli visse intensamente il suo tempo -quasi tutto il secolo XVIII -interessandosi a tutti gli avvenimenti e a tutti gli aspetti della vita italiana ed europea: storici, filosofici, religiosi, sociali, letterari.

Nato in una ricca famiglia di Napoli, portò con sé tutte le doti di un napoletano verace: simpatia, estro, arguzia, generosità, amore per il canto e la poesia, vivacità d’intelligenza; e, in più, la passione per il lavoro; fissò sotto giuramento la decisione di non perdere mai un minuto di tempo.
La sua Napoli era la Napoli di sempre; anche quella di oggi; e, sicuramente, pure quella di domani: ricca di sole e di mare, di gioia di vivere, di nobiltà, ma anche di intensa malinconia, di lacrime brucianti, di passioni violente e di miseria. La Napoli delle eterne, ineffabili, sconcertanti contraddizioni. 

Alfonso ha vissuto nella sua stessa persona il mistero di questa Napoli ricca e povera, nobile ed umile nello stesso tempo. Infatti, primogenito di otto fratelli in una delle più nobili e ricche famiglie della “sua” Napoli, con un avvenire da sogno per destino, abbandonò onori e benessere, e si fece povero per spartire e vivere gli stenti, la miseria e le umiliazioni dell’altra Napoli, ormai anch’essa sua. Nemmeno le preghiere, bagnate di lacrime, della madre, dolcissima e adorata, riuscirono a tenerlo legato al suo mondo di gloria e di ricchezza.

E’ conosciuto quasi esclusivamente come innovatore ed eccellente maestro di teologia morale e di spiritualità, abbastanza attuale anche per il nostro secolo. In questi due campi i suoi influssi sono rilevanti, e lo saranno ancora per molto, tanto intensa e incisiva è l’impronta che vi ha lasciato. Lo studioso cattolico Henri Daniel-Rops è categorico nell’affermare che «l’anima cattolica dei nuovi tempi si nutrirà di spiritualità alfonsiana assai più di quanto abitualmente si pensi» (2); mentre lo storico protestante A. Harnack è convinto che il parigino Francois Marie Arouet -meglio conosciuto con l’anagramma Voltaire -e il napoletano Alfonso Maria de Liguori sono stati gli uomini più influenti nella direzione delle anime delle nazioni latine: naturalmente, uno per un verso, l’altro per la via opposta.
Sono pochi, invece, quelli che conoscono Alfonso come scrittore, poeta e musicista. Rarissimi quelli che sanno che lui è stato anche pittore, grammatico e aritmetico. Per loro e per tutti quelli che desiderano conoscere anche questo lato della poliedrica personalità del de Liguori, abbiamo scritto queste pagine. Esse -dopo la premessa biobibliografica -attraverso la visualizzazione delle immagini da lui disegnate e la lettura di brani scelti fra i suoi scritti, vogliono mettere in risalto questi aspetti della sua attività umanistica. Sarà una piacevole scoperta per molti, in Italia come altrove. 

La Napolidel ‘700
Affinché ci si possa fare un’idea abbastanza precisa, anche se incompleta, della configurazione fisica e sociale della Napoli del XVIII secolo, trascriviamo, come parte integrante di questa presentazione, una pagina di due storici R. Rouvier e A. Laffargue.

 «All’inizio del XVIII secolo, Napoli conservava ancora quasi identica al periodo medioevale la sua forma, la sua posizione e la sua struttura.
Vista dal mare, pareva una specie di arnia dai cento alveoli con= giunti, posta su un piano dolcemente inclinato verso il golfo, ai piedi di un arco di colline quasi deserte.
Non aveva apparentemente conservata alcuna caratteristica della fisionomia della Napoli antica, l’attiva città mercantile diventava luogo di piaceri: i monumenti greci e romani dormivano sepolti sotto strati successivi di rovine. Tuttavia, di questa Napoli antica, restava immutata la incantevole posizione.
La popolazione di Napoli era, di fatto e di diritto, sotto la tutela di circa 120 famiglie nobili, dette di piazza, che cioè avevano in esclusiva una specie di diritto del foro e dell’amministrazione della città.

Ritroviamo qui la città antica fondata sulla divisione e l’ineguaglianza delle classi e la preminenza riconosciuta all’aristocrazia in virtù di un diritto di origine divina. Come gli Eupatridi di Atene, gli Eguali di Sparta, i patrizi di Roma, i nobili di piazza di Napoli dominano e non permettono alle classi inferiori che una partecipazione molto limitata agli affari pubblici: la disuguaglianza feudale non era all’origine di questa organizzazione a base gerarchica; l’aveva soltanto ravvivata.

Nel XVIII secolo c’erano a Napoli cinque piazze, cioè cinque gruppi nobiliari: le piazze Capuana, Nido, Montagna, Porto e Portanova; in altri tempi la città ne annoverò ventinove che esistevano sotto forma di ottine, cioè di quartieri. Le piazze non erano piazze propriamente dette; c’era stata una variazione di termini fra il luogo dove si teneva l’assemblea stessa. Anche i nomi di circolo e club sono passati, ai giorni nostri, dal locale al gruppo di persone che vi si riunisce (3).»

 _____________
(1)   T. Rey-Mermet, Il Santo del Secolo dei Lumi, Roma 1983, p. 9.
(2)   D. Rops, Storia della Chiesa ,di Cristo, Torino 1963, V-2, p. 359.
(3)   R. Rouvier – A. Laffargue, Vita Napoletana nel XVIII Secolo, San Casciano 1960, pp. 19 e 27.
(4)   T. Rey-Mermet, Alfonso de Liguori, un uomo per i senza speranza, Roma 1987, pp. 8-9.

 _______________
Don Giuseppe De Luca, scrittore, dice di Alfonso:
Grande poeta, no; ma poeta, sì. Alla canzoncina popolare egli seppe conferire una grazia, una sincerità, un’intimità nuova. Di musica, io non poso ragionare; ma un santo che scriva un oratorio, sia pure in nuce, non è frequente. Così per la pittura: il solo fatto che egli si sia messo a dipingere, dimostra quale fondo di umanità e di grazia fosse nella sua natura. Missionario, fondatore d’un Ordine religioso, vescovo, scrittore di devozione, autore dottissimo di Morale, si mette a dipingere.
Scrittore, prosatore, non è dei grandissimi; ma talune pagine sue sono veramente belle. Ha inizi e movimenti bellissimi; più raramente, sviluppi colmi e grandi. Ma artista è, nel suo scriver*e ed è certamente, in quel secolo, il miglior artista della devozione. 

Théodule Rey-Mermet, scrittore, dice della famiglia di Alfonso:
Da alcuni secoli i de Liguori sono cavalieri napoletani al “seggio” di Portanova; ed è il momento in cui, scrive un viaggiatore del XVII secolo, «i napoletani disprezzano il resto degli italiani; la nobiltà disprezza il resto dei napoletani; i cavalieri del seggio” disprezzano gli altri nobili». Certo è che i cavalieri napoletani, grandi amministratori dei quartieri della capitale, facevano invidia, per i loro privilegi, alle famiglie più titolate del Regno di Napoli. Facendo onore al leone del loro stemma, i de Liguori erano di animo fiero e ufficiali di padre in figlio.
Il nonno di Alfonso si era battuto in duello a settant’anni. Il padre, don Giuseppe de Liguori, arruolato nella flotta militare, era sul punto di diventare comandante di galera. Checché se ne dicesse, era anche uomo d’affari molto attivo e astuto, ricco e avaro. Ricco perché avaro? Avaro perché ricco? Le due cose insieme, non v’è dubbio. Uomo di polso in casa, terribile in mare, per i turchi e per i corsari. Un leone, che la fede e il figlio finiranno col far diventare agnello.

Su Alfonso, primogenito di Don Giuseppe de Liguori e Anna Cavalieri, San Francesco de Geronimo, amico di famiglia, dà la benedizione e pronuncia la profezia di un futuro di santità del piccolo (Foto Andrea Vasari - Raccolta Marrazzo).

Ezio Marcelli – Santino Raponi
Un umanista del ‘700 italiano
Alfonso M. de Liguori
EDITORI
PROVINCIA ROMANA C. SS. R.
BETTINELLI
1992
© Proprietà letteraria riservata Provincia Romana C. SS. R.