Fratello Achille Travaglione (1852-1934) – Italia.
Nacque a Pastene di S. Angelo a Cupolo il 25 gennaio 1852; dopo un lungo probandato professò il 1° novembre 1890, e fu assegnato come sacrestano alla chiesa di Pagani.
Quest’ufficio lo disimpegnò per 40 anni, sino al 1931, con tutta scrupolosità e severità con se stesso e col pubblico. La sua riservatezza era eccessiva e talvolta rude.
Intrecciava la sua vita tra il lavoro e la preghiera. Le sue dita stringevano, devotamente, in qualunque ora, la corona della santa Vergine; e nel suo libro prediletto «La Via della Salute» trovava suo pascolo per la meditazione in qualunque tempo libero.
A somiglianza di san Gerardo, egli si contristava allorché vedeva il suo prossimo trascurato per gli interessi dell’anima. Sapeva insinuarsi con la massima che gli era sempre sulle labbra: Porro unum est necessarium! (Una sola cosa è necessaria!). E non poche grazie così egli attirò dal cielo, qualcuna addirittura insperata, mercé il suo zelo e la sua fervente preghiera accompagnata da aspre flagellazioni.
“Preghiamo sempre – esclamava – raccomandiamoci a S. Alfonso; salviamoci l’anima che costa sangue e ignominie a Gesù Cristo”.
Nel 1916, ricorrendo il cinquantenario della Madonna del Perpetuo Soccorso, durante i preparativi per le solenni feste, cadde e si fratturò una gamba. Ciò nonostante dopo alcuni mesi, riprese la sua vita ordinaria, ma nel 1931 fu sorpreso da paralisi, da altri malanni e dalla sordità e non gli fu possibile più, suo malgrado, scendere in chiesa.
Da quel tempo, su una sedia a ruote, offerta dalla bontà del Cav. Basilio Tramontano, attaccatissimo a S. Alfonso, lo si vedeva sovente girare per i corridoi del Collegio, assorto nella preghiera, come lo stesso nostro S. Fondatore negli ultimi anni di sua vita mortale.
Non è molto che i suoi Confratelli lo portarono di peso nella Basilica a contemplare lo spettacolo paradisiaco che ora offre la sontuosa Cappella con l’Urna di S, Alfonso. Sembrò estatico e proferì il suo «Nunc dimittis servum tuum, Domine, secundum verbum tuum in pace». Infatti egli si licenziava dall’amato Padre qui in terra, per riabbracciarlo in cielo dopo pochi giorni, cioè il 12 ottobre 1934, venerdì, alle ore 10.30 a.m.. Il dì seguente si celebrarono solenni funerali. L’Avv. Carlo De Vivo pronunziò sul feretro innanzi la porta della Basilica il discorso funebre, e conchiuse dicendo: «Non recedet memoria ejus, et nomen ejus requiretur a generatione in generationem ».
Aggiungo che Fratello Achille aveva un vivo desiderio di ascoltare la S. Messa e comunicarsi ogni mattina, ed io gli ho dato questa consolazione per 20 mesi celebrando in S. Luigi e poi nella sua stanza.