25 settembre
Nel presepe tutto dà pena: dà pena alla vista, perché non si vede che pietre rozze e oscure: dà pena all’udito perché altro non si sente che voci d’animali quadrupedi,
dà pena all’odorato, per la puzza che vi è di letame, e dà pena al tatto, perché la culla non è altro che una piccola mangiatoia, e il letto non è composto che di sola paglia. (S. Alfonso in Novena del Santo Natale, discorso VII. – Napoli 1837 a spese del “Gabinetto Letterario”).
- Il P. Paolo Cafaro era un uomo di tale mortificazione da destare meraviglia nei primi nostri congregati, che restavano sbalorditi dinanzi al suo fervore di penitenza. Ecco il ritratto che di lui ci ha lasciato S. Alfonso: «Essendo don Paolo di dodici anni, praticava discipline a sangue e portava sulle carni una cintura aculeata, che faceva orrore a vederla. Le discipline a sangue eran già cose ordinarie, e per quelle si avvaleva talvolta di fascetti di spine, che procuravasi nella campagna, ma ordinariamente si serviva di una canna grossa piena di piombo e tutta armata di aghi lunghi e grossi e con quelli non solo si pungeva, ma si trafiggeva le carni. Inoltre si tormentava con coscialetti e braccialetti di catenelle aculeate… Anche mentre andava passeggiando per il bosco d’Iliceto nel tempo di divertimento fu veduto andar battendo le mani sulle spine. Insomma per Don Paolo non vi erano mai divertimenti e sollievi, altro non era la sua vita e il suo pensiero che un continuo contraddirsi e negarsi ogni propria soddisfazione, e tormentarsi con le penitenze quanto poteva».
Da “Spigolature“, a cura di P. Pompeo Franciosa, 1987
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