2 settembre
La mortificazione esterna come l’interna sono necessarie alla perfezione, ma con questa differenza che l’esterna dobbiamo esercitarla con discrezione, ma la interna senza discrezione e con fervore. E a che mai serve il mortificare il corpo, se non mortifichiamo le passioni interne? (S. Alfonso in La Monaca Santa, Cap. VII, n. 7 – Marietti 1929).
- Grande fu il fervore con cui S. Alfonso si diede a tormentare il suo corpo fin da quando abbandonò il mondo. Non conosceva né ripugnanze né delicatezze; portava il cilizio, non indietreggiava innanzi alle discipline più aspre, digiunava in pane ed acqua tutti i sabati in onore della Vergine.
Il mondo poi da parte sua contribuì largamente a farlo esercitare alla mortificazione interna. Gli antichi suoi amici ostentavano di trattarlo con disprezzo e fingevano perfino di non conoscerlo; divenne la favola degli avvocati, dei signori e dei principi, che prima lo avevano portato alle stelle. Il Presidente di Corte Reale, don Muzio di Maio, che si era mostrato tanto affezionato ad Alfonso, da quando seppe che questi aveva preso la divisa ecclesiastica, gli chiuse la porta di casa sua, col pretesto che un galantuomo non si presenta così davanti a persone rispettabili.
Don Giuseppe stesso, il bravo capitano, arrossiva del suo figliuolo. Il Santo giovane sopportò per anni interi questi disprezzi soffrendo crudelmente in cuor suo, ma felice di essere trattato come Gesù Cristo.
Da “Spigolature“, a cura di P. Pompeo Franciosa, 1987.
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