13 settembre
Le infermità sono la pietra del paragone dove si scopre lo spirito di una persona s’è oro o rame. Alcune religiose quando godono sanità sono allegre, pazienti e divote, ma quando
poi son visitate da qualche malattia, allora fanno mille difetti e paiono inconsolabili; perdono la pazienza con tutte, anche con chi le assiste per carità; si lagnano di ogni dolore e incomodo che patiscono, si lamentano di tutti, del medico, della superiora e delle infermiere, dicendo che sono trascurate e che poco l’assistono. Povera inferma, io vi compatisco, non per l’infermità del corpo, ma per la poca pazienza che ci avete, la quale vi rende doppiamente inferma, di corpo e d’anima. (S. Alfonso in La Monaca Santa, Cap. XIII, n. 1. – Marietti 1929).
- S. Alfonso era sempre di buon umore nelle malattie e talvolta santamente canzonava i medici per la pena che si davano per ristorare il suo povero corpo in rovina: «Volete ad ogni costo sostenermi a forza di puntelli ed appoggi di ogni genere, ma un bel giorno alzerete un pò troppo uno di questi puntelli, e tutto questo grande apparato rovinerà».
Talvolta con una risposta gioviale dissimulava i suoi crudeli dolori: «Dormite la notte?» gli domandò uno dei suoi parroci. «Caro priore», gli rispose, «il giorno prendo le mosche e la notte scaccio i ragni».
Un canonico lo rimpiangeva vedendolo così con la testa confitta sul petto: «State quieto» gli disse ridendo «la mia testa non va più giù, essa e arrivata là “nec plus ultra”. M’hanno chiamato così spesso collo storto, che alla fine son diventato davvero». - Essendo infermo il P. Cesare Sportelli, il Superiore ordinò che prendesse la cioccolata. Andò un fratello laico a fargliela, ma questi, poco pratico, ve ne pose poco ed avendola portata, nel porgergliela sopravvenne uno studente il quale vedendola poco densa disse: «Che cos’è fratello: questa non è cioccolata ma è acqua tinta». «Non importa, figlio benedetto — ripigliò don Cesare — la gola non mi ha fatto mai guerra».
Da “Spigolature“, a cura di P. Pompeo Franciosa, 1987
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