Il santuario di San Gerardo Maiella
Servizio sulla rivista dei Paolini “Credere”, numero del 7 dicembre 2014
«Aspettavamo un bimbo da otto anni. Sogni che si infrangevano, preghiere incessanti. Poi, dopo la visita al santuario, è arrivato Vincenzo».
Clorinda da Fisciano, nel Salernitano, occhi lucidi e capelli alla moda, accarezza un bel bimbo biondo. È vestito come un fraticello per il voto. Al suo fianco Pasquale, il babbo, conserva la lettera al santo, un insieme di speranze e desideri, adesso realtà.
In Irpinia ha vissuto Gerardo Maiella: incapace per molti contemporanei, indispensabile compagno e amico fedele per tanti, giunti qui da tutto il Sud.
Il santuario a lui dedicato, parzialmente ricostruito dopo il sisma del 1980, non ce la fa a contenere le migliaia di pellegrini: «Oramai le liturgie le celebriamo all’aperto perché la chiesa è diventata piccola». I fasciatoi e un parco giochi testimoniano la presenza costante di bambini in un luogo dove si calcolano più di un milione di pellegrini all’anno.
Padre Antonio Perillo è il rettore del santuario dei Redentoristi. Accoglie i visitatori e spiega di questo Giovane, povero, con un’infanzia difficile, incompreso. Un semplicissimo cristiano che ha fatto della sua breve vita la strada per il Paradiso. Il suo è l’esatto contrario del modello sulla perfezione in voga, ma la purezza di cuore l’ha posto sugli altari accanto a giganti nella fede.
Gerardo Maiella, il «pazzerello di Gesù», nasce nella provincia di Potenza. Lavora come sarto con scarsa fortuna: trascorre più ore in chiesa che in bottega, contemplando il tabernacolo. Per la gente Gerardiello ha un modo strambo di comportarsi, ma è benvoluto.
Si avvicina ai Redentoristi quando arrivano in Basilicata per una missione popolare. Vedono un giovane gracile: testa grossa e occhi profondi. Per non farlo partire coi missionari, la madre lo chiude in camera. Inutile. «Mamma, perdonami. Vado a farmi santo», scrive. Annoda due lenzuola, scavalca il davanzale come un galeotto e giù in strada a rincorrere i religiosi.
Accolto con riserva, è presentato come «fratello inutile» al superiore. Viene anche accusato in una lettera di avere relazioni sospette con una donna. Umiliato e offeso, non si difende, tace, anche davanti al fondatore sant’Alfonso Maria de Liguori che gli proibisce la Comunione.
Aspetta che la verità sulla sua innocenza venga a galla. Questo inatteso epilogo desta meraviglia tra i confratelli, che prendono a rispettarlo. Dona viveri ai poveri e ai bambini, semplici come lui.
Va a Materdomini, una borgata chiamata con il nome della Madre del Signore, in un santuario sulle sorgenti del Sele. Non sarà mai sacerdote, rimanendo solo “fratello”: Il 16 ottobre 1755, a 29 anni si ammala e muore di tubercolosi.
Davanti alla statua del santo, il superiore saluta Peter e Lucia, anche loro qui a ringraziar lo per il dono del piccolo Francesco Pio
L’ordine segue i più poveri tra i poveri, quelli più abbandonati, e aumentano le parrocchie e gli ospedali che portano il nome di Gerardo in tutto il mondo. I Redentoristi infatti non si fermano all’Italia. Dal santuario di Caposele sono vicini alla missione in Madagascar. «Facciamo arrivare ai bimbi delle scuole il necessario per cibarsi e studiare. Qui la carità è fratellanza», spiega.
E arrivano i miracoli. «Scrivono persone che inspiegabilmente non hanno più malattie gravi», racconta suor Rossella, una giovane Gerardina dagli occhi carichi di vita, animatrice dei missionari che qui hanno anche una tivù.
I diciotto confessionali manifestano la forte attività dei 9 sacerdoti, come ricorda padre Antonio Pasquarelli, spiegando che la misericordia è uno degli insegnamenti fondamentali di sant’Alfonso. «Da quando c’è papa Francesco, è aumentato il numero di chi vuole riconciliarsi, anche di persone che grazie al Santo Padre hanno trovato la fede».
Al santuario di Materdomini i momenti di festa sono tanti. Adesso i Redentoristi si preparano all’11 dicembre, quando si espone l’urna con il corpo del Santo. Si attende una folla di passeggini, tutti a ringraziare con un fiore il santo delle mamme e dei bambini.
La stanza dei fiocchi
La stanza dei fiocchi adiacente alla chiesa è il luogo della vita, il più amato dai pellegrini perché parla di speranza. Qui vengono i genitori a portare nel grande contenitore trasparente il fiocco per la nascita dei loro bambini o le foto.
Le pareti oramai non ce la fanno più a contenere le migliaia di testimonianze dei prodigi del «Santo dei parti felici».
«Da 7 anni che sono qui ho visto almeno 300 casi di bimbi venuti alla luce da coppie sterili e con situazioni difficili», racconta padre Perillo.
Ora hanno dovuto inserire tabelle alle pareti per le foto che giungono da tutta Italia.