Mons. Giosuè Saggese (1800-1852). – Italia.
Mons. Giosuè Saggese (1800-1852)
Arcivescovo di Chieti
Nacque il 15 maggio 1800 da onesta e pia famiglia in Ottaviano. Entrò in Noviziato a Ciorani nel 1816 sotto il Maestro P. Mansione, che fu poi Rettore Maggiore.
Il 22 giugno 1817 fece la sua professione a Stilo sotto il Maestro P. Patroni, e il Rettore P. Ripoli che fu anche lui Rettore Maggiore. Si ordinò Sacerdote nel 1824 il 15 giugno.
Era Rettore a Corigliano, quando all’età di 38 anni fu consacrato Arcivescovo di Chieti.
Era di aspetto assai bello, nonché molto umile, dotto, caritatevole e santo.
Sia da Padre in Congregazione, sia da Arcivescovo di Chieti fu, sino alla sua morte di santo avvenuta il 25 aprile 1852, un vero apostolo del Venerabile Gerardo Maiella. Ne predicava dovunque le virtù, i suoi prodigi, la sua santità.
Ed egli stesso, trovandosi una volta, gravemente, ammalato, ne sperimentò la potenza, poiché si vide all’istante guarito appena invocato l’aiuto del Grande Taumaturgo». (P. Saintomer).
Esiste una ben lunga sua biografia scritta dall’ Abate Cinalli.
Il P. Benedetti nella Vita del Beato Gerardo del 1893 dice: «Mons. Saggese nella sua ultima malattia, fece riunire nella sua stanza molte preziose reliquie, fra le quali si ebbe un ossicino, sacra reliquia del Ven. Fr. Gerardo Maiella, che fu posto dirimpetto a lui: per più volte un raggio di luce vi si vide partire, che tremolante rischiarò il volto del Prelato.
«Egli seco stesso ne godeva, e componendo le labbra a dolce sorriso, con animo sempre costante ripeteva: «Sia benedetto il Signore».
«Il suo Vicario Generale di tanta grazia si fe’ inteso con lui, e ne prese ragione per meglio confortarlo; ma com’ebbe finito, Monsignore volle dirgli: «Vi prego, Mons. Vicario mio, a non parlare con chicchessia di codesta grazia, di cui il Signore ha voluto rincorarmi».
«Il Vicario non zittì, e l’Arcivescovo, credendolo offeso, immantinenti soggiunse: «Vi siete offeso, Mons. Vicario, ch’ io vi ho pregato così?»
«Dopo le osservanti proteste di costui, l’Arcivescovo si calmò. (Cinalli, Biografia Storica di Mons. D. Giosuè Maria Saggese C. SS. R. Arcivescovo e Conte di Chieti ).
P. Alfano lasciò scritto: «È passato a miglior vita in Chieti, in giorno di sabato, il 25 aprile 1852 il Padre Mons. Giosuè Saggese, Prelato, in cui rifulsero tutte le qualità di un buon Pastore in grado eroico, morto in opinione di gran santità, e pianto non solo dai Chietini, «ma da tutto il Regno per aver perduto uno dei migliori Prelati».
Josuè Mariae Saggese
Alphonsi De Ligorio Castra mancipato
MDCCCXXXVIII, IV Kal. Octob. (26 Sett.)
Ad hanc praeclar Divi Justini Cathedram evecto Scientiarum, doctrina, morum, innocentia et virtutibus spectat.ma Qui sibi parcus prolixa in pauperes liberalitate munificus
Indefessa sollicitudine duviniso laboribus incubuit
Ut craeditas sibi oves divino enutriret eloquio et exemplo paies –
SS.a Jesu et Mariae Corda perenni haberetur cultu, set,
Atque hoc Templum in dies Nitore fulgeret,
Aetatis suae An 41 ultra mens. XI et di. IX. VIII Ha. Maji 1852.
Ingenti filior. dolore ac desiderio
Immiti morbo correptus in Domino quievit
Quisquis huc ingrederis securitatem adposcito aeternam.
- Mons. Saggese narrò che un Parroco delle vicinanze di Corigliano consacrò una botte di vino ed un cesto di taralli, coperti col conopeo, vi teneva accesa la lampada, e mangiava e beveva senza scrupolo.
- Ad un altro paese, poi, che vi era un Principotto che violava tutte le giovanette, ed uccideva i Parroci che lo riprendevano. Vi andò per Parroco, un vecchio brigante convertito, ed uccise, nascostamente, tutti i prepotenti del Paese. In morte confessò gli omicidi fatti, e il Re mise in libertà gli imputati innocenti. ( P. Domenico Cianciulli )
Altro Profilo
Mons. Giosuè Maria Saggese, C.SS.R. Arcivescovo di Chieti, nato in Ottaviano il 15 maggio 1800 da Francesco Saggese ed Anna De Paschale, di mediocre condizione sociale; affidato alle cure solerte di buon Sacerdote, fece conoscere come sarebbe riuscito insigne e per la scienza e per la santità.
A 15 anni, sentendosi chiamato allo stato religioso, sacrifica tutto ed entra fra i figli di S. Alfonso dei Liguori, vestendone l’abito il 28 del mese di aprile 1816.
Nel Collegio di Stilo in Provincia di Reggio Calabria fece il noviziato. Ivi fu visto superare coloro che erano prima di lui entrati nella carriera del religioso fervore; novizio e discepolo fu reputato poco meno che maestro di perfezione.
Un anno dopo, il 22 giugno del 1817 fece la professione ed anche negli anni maturi ricordò sempre affettuosamente quel giorno.
Dopo la professione non rallentò il fervore dello spirito; che anzi crebbe durante il corso degli studi, così che, posto alla prova di lunga, pericolosa e straziante malattia per alcune piaghe al collo ed al petto, le tollerò con eroica virtù.
Il Saggese, grato a tante sollecitudini che i Superiori ebbero allora, in modo speciale, per lui, sempre gioviale, senz’ombra alcuna di alterazione o lamento anche passeggero, nulla curandosi di sé, consolava chi cercava di dargli coraggio.
Quanto agli studi, d’ ingengo penetrante, e di memoria prodigiosa, com’ era, fece progressi così rapidi che, tuttora Chierico, fu prescelto a Professore di Fisica, poi di Teologia nel Collegio di Corigliano e per molti anni.
Ma i talenti di lui non dovevano soltanto limitarsi a sostenere il peso della scuola: ben presto da tutte le Calabrie, consultato nelle questioni più intricate e difficili, dava risposte che fissavano sempre la soluzione d’ ogni problema, e determinavano l’ esecuzione in tutti gli affari.
Il 15 giugno del 1823 in Cariati da Monsig. Sarno, Vescovo di quella Diocesi, fu ordinato Sacerdote, ed a 26 anni destinato Rettore del suddetto Collegio di Corigliano.
Qui rivelò le sue eccelse qualità di saggio e prudente superiore; obbligato a difendere i diritti e le ragioni del Collegio, scriveva dotte memorie e somministrava ai valentissimi del Foro Napoletano titoli ed argomenti così sodi ed opportuni, da essere senz’ altro apprezzato per la sottigliezza e vastità delle sue cognizioni anche in Napoli.
In Corigliano si aprì più largo campo all’ operosità di lui. Insigne nel dirigere le anime, non lo fu meno quale dispensatore della parola di Dio. Tipo del vero Missionario fino all’ eroismo egli predicava con eloquenza forte, vigorosa ed emula di quella del Crisostomo.
Nessuna meraviglia quindi se tutti correvano a lui; chi lo chiamava l’ oracolo, chi l’ Angelo e chi l’ Apostolo delle Calabrie.
Gli Arcivescovi di Rossano e di S. Severina, il Vescovo di Catanzaro, nei bisogni ardui delle loro Diocesi, invocavano il consiglio del Saggese; a lui affidavano le Missioni più importanti, per lui concepirono tale stima che lo proposero al Real Governo e lo raccomandarono alla S. Sede, come degno dell’ Episcopato.
Chiamato così, nel marzo del 1838, a governare l’ Arcidiocesi di Chieti, per ben tre volte rinunziò, ma alfine, con vero spirito di obbedienza, piegò il capo alla voce del Vicario di Gesù Cristo, Papa Gregorio XVI. Il 26 ottobre del 1838 muoveva per la sua Chieti, dove fece il solenne ingresso, accolto dalla gioia universale.
Elevato alla dignità episcopale, custodì maggiormente geloso nel cuore quella cristiana fermezza, che già lo aveva reso ammirabile, fermezza che, se lo fece modello di abnegazione, lo rese ancora un miracolo di operosità.
Saldo nei suoi principi, inaccessibile agli umani riguardi, abbandonato in braccio alla Provvidenza che lo aveva chiamato a reggere una delle più popolose Diocesi del Regno, il nostro Prelato sentì tutta l’ importanza della sua Missione e si studiò di compierne le singole parti con l’Apostolato della parola e delle opere, veramente fortiter et suaviter.
Accoppiata infatti alla fermezza, rifulse in lui un’ ardentissima carità tanto da essere generosissimo con i poveri e gli infermi, da visitare spesso i carcerati e da recarsi a consolare e preparare all’ ultimo passo i condannati a morte. Animato da questa ardentissima carità, corse in Giulia, abbracciò Jouart, figlio di Omar che, nato nel 1830 sulle sabbie ardenti di Etiopia, languiva, schiavo, sulle piazze del Cairo; lo condusse seco in Chieti, e, fattolo istruire nei Misteri della Fede, solennemente lo battezzò.
Pare che il nostro Prelato sortisse ancora una missione tutta propria, quella cioè di promuovere e dilatare con facilissimi e strepitosi successi la devozione ai SS. Cuori di Gesù e di Maria ed amplificare il culto di S. Filomena V. e M.
A questo nobile divisamento, a cui sin da semplice Missionario aveva rivolto tutte le sue cure precipue, a costo di qualunque sacrificio, fece convergere, per dir così, tutte le sue opere pastorali. Sin dal primo giorno che giunse in Chieti, incominciò ad insinuarsi nell’ animo dei Chietini per rafforzarvi la riverenza verso la Persona adorata del Figlio di Dio sotto la specie Eucaristiche.
Con solenni funzioni, celebrate in onore del Santissimo nei tridui delle esposizioni dei così detti Carnevaletti, attraeva tutto il popolo alla riparazione solenne a Gesù Redentore, e lo allontanava dai pericolosi divertimenti, e non vi fu Chiesa o Congrega in Chieti e in Diocesi che non assecondasse le sante premure di lui.
Egli quotidianamente teneva acceso il santo fervore con sermoncini che rivolse ai fedeli dopo la serotina fino a quando i Medici non glie lo proibirono. A raggiungere poi lo scopo contribuirono le sue dotte Lettere Pastorali, le sue Omelie, inserite nella Collezione delle opere intorno alla devozione dei Sacri Cuori; Lettere ed Omelie commendevoli per delicatezza e convenienza di pensieri, non meno che per la naturalezza e disinvoltura della forma.
Ovunque egli consolidò la pietà, richiamò al vero decoro il divin culto e lo tornò a nuova vita, e fece sorgere dalle fondamenta nuove e maestose Chiese. Dalla relazione della prima S. Visita Pastorale da lui fatta, relazione umiliata alla S. Congregazione del Concilio nel 1846, si rileva quanta devozione e pietà abbiano i fedeli dell’ Archidiocesi di Chieti spiegate per i sacri edifizi tra il 1839 e 1846.
Ben 154 luoghi sacri sentirono questo devoto effetto; 21 Chiese nuove furono contemplate; altre 26 quasi compite; 66 restaurate; 31 in corso di miglioramento.
A lui si devono i restauri alla Cattedrale ed all’antico Episcopio; nonché i privilegi dell’abito prelatizio all’ Arcidiacono e della mitra ai Canonici e i miglioramenti materiali, economici e morali del Seminario.
Quanto a quelli materiali, sembrava il primo fra gli operai addetti ai lavori, ed era cosa assai bella guardarlo quando sulle bancate ginocchioni, fra i numerosi muratori, implorava l’ aiuto del Cielo, o colla destra elevata benediceva i materiali ad uso della fabbrica.
Quanto poi a quelli morali, venne da lui aggiunto un Direttore di spirito. Oh quante notti insonni passò nel dettare i molti regolamenti disciplinari, letterari ed ascetici; quante fatiche per far eseguire ordini stupendi riguardanti l’ uniformità degli abiti, la nettezza del locale, il vitto e quant’ altro si riferiva all’ istruzione degli alunni !
Le riforme concernenti il morale andamento del Seminario si può dire fossero il pensiero permanente, quasi l’ unico di tutta la sua vita episcopale. In tempo di ricreazione, più tenero di una madre, si intratteneva fra gli alunni; ai piccoli narrava i miracoli di S. Luigi, ai grandi le Glorie di Maria, ai Teologi poi commentava la S. Scrittura ed era davvero commovente l’ ora in cui era per uscirne: i più piccoli in folla lo circondavano, trattenendolo per le vesti, prendendogli il laccio della croce pettorale, tutti poi con cuore riboccante di devoto e figliale affetto esclamavano: Monsignore, un altro fatticello per la gloria di Dio» ed egli non soleva negarlo, e quei piccini esultavano di gioia.
Perché la devozione a Maria fosse sempre accesa, stabilì che i Seminaristi, studenti di Teologia, predicassero per turno, nel Duomo, ogni Sabato sulla Vergine Madre, e per liberare gli alunni dai pericoli delle vacanze riuscì ad ottenere, dal 1847 in poi, che nel mese di agosto potessero essere condotti in siti amenissimi sulle spiagge dell’Adriatico.
In breve, sino a tutto il 1852, cioè fino alla morte di lui, fu quello il tempo della maggiore floridezza per il Seminario.
La sua vita da Vescovo, per quanto fu possibile, rispecchiò in certo modo la vita del Religioso: lo stesso orario nella giornata, la stessa povertà nel vestire ed in tutto ciò che lo circondava.
Gioviale sempre in mezzo a tutti i disagi, a cui andava incontro, visitando la Diocesi, riuscì perfetto esemplare di pazienza e di calma,quando, non ancora condotta a termine la prima S. Visita Pastorale, sembrò che tutto l’ inferno si scatenasse contro di lui, con i ricorsi che si inviarono a Roma, ricorsi che, sventati, fruttarono all’ Arcivescovo la dignità di Prelato Domestico ed Assistente al Trono Pontificio dalla S. Sede, e dal Re Ferdinando II la nomina a Commendatore del R. O. di Francesco I.
Il 25 gennaio del 1852 venne colpito da morbo letale, un favo maligno. Durante la lunga e penosissima malattia, lo spirito di religione e di pietà che fu sì grande in lui durante la vita, apparve in tutta la sua forza.
A tutti coloro che lo visitavano e gli domandavano come stesse, rispondeva sempre: «Come vuole Dio», ovvero «È male lungo e pregate Iddio e Maria SS.ma perché io possa aver pazienza e rassegnazione ai divini voleri».
Memorabile rimarrà il giorno 11 marzo, quando gli fu portato solennemente il S. Viatico. Al primo ingresso nella stanza, e precisamente quando il Sacerdote ebbe detto «Pax huic Domui….» mentre tutti scoppiavano in pianto dirotto, il Prelato fu visto alzarsi nella metà della persona, come se fosse stato nella pienezza delle sue forze, e con impeto di viva fede e profonda umiltà fu udito pronunziare ad alta voce: «Tu es Christus Filius Dei vivi, qui in hunc mundum venisti».
La commozione generale divenne ancora più grande, quando, con poche e sentite parole, fece le più edificanti proteste innanzi a Gesù Sacramentato, e chiese perdono al popolo dei falli moltissimi, diceva egli, commessi.
Indi raccomandò, in modo speciale, i sacri tridui del Carnevale; infine benedisse tutti nel misericordioso Signore, volse la sua parola affettuosa a ciascuno e, come giunse ai Seminaristi, un torrente di affetti troncò la paterna parola sul livido labbro, avendo potuto appena alzare la scarna mano per benedirli.
Dopo di che, per il primo intonò il Te Deum e volle che seco l’atternassero quanti restarono intorno al suo letto. Intanto la veemenza del male cresceva di giorno in giorno ed i patimenti addivenivano assolutamente strazianti.
Con tutto ciò egli non cessava di pregare e raccomandava ancora a tutti di far lo stesso.
Nella notte del 23 al 24 si credette di perderlo e gli fu amministrata l’ Estrema Unzione; il giorno seguente, poco dopo l’ Ave Maria, a quelle parole «Maria, Mater gratiae, Mater misericordiae, tu me ab hoste protege, et hora mortis suscipe», soavemente spirò.
Sparsasi la notizia, fu un compianto generale e tutti dicevano: «Se non sta Egli in Paradiso, chi ci starà?» Le esequie furono fatte nel modo più solenne e la sua salma, giusto il desiderio espresso nel Testamento, fu tumulata in Cattedrale nella Cappella del SS.mo Sacramento. (Ab. Cinelli)
Mons. Saggese cessò di vivere la sera del sabato. Il 13 luglio di quest’ anno 1932, mercoledì, fui a Salerno, e l’ Arcivescovo Monterisi, già Arcivescovo di Chieti, mi parlò tanto bene di Mons. Saggese, suo predecessore; tra le altre cose mi disse, che essendo stato calunniato presso la S. Sede dai Canonici, egli per vendetta ottenne loro la Mitra, e che in tutta la Archidiocesi è ricordato come Santo.
Il giorno 19 poi mi diresse la seguente lettera, che si conserva nell’ Archivio Provinciale:
L’ Arcivescovo Primate di Salerno
Amm. Perp. di Acerno-Salerno 19 Luglio 1932
Rev di mo Padre
Son venuti da me oggi due Canonici di Chieti: D. Cesare Zuccarini e D. Benedetto Falcucci: il primo Rettore del Seminario Arcivescovile, l’ altro Vicario Generale della Diocesi. Ambedue con moltissimo piacere mi han promesso che manderanno a Lei copiose notizie intorno a Mons. Saggese ed anche una breve biografia stampata a Chieti, subito dopo la morte.
Io Le posso assicurare che i ricordi del Santo Arcivescovo a Chieti sono ancora vivissimi: molti ne hanno l’ immagine in casa, e fino ad una quindicina di anni fa girava ancora per i malati uno zucchetto, che si diceva miracoloso: oggi è sparito; o almeno a me non riuscì di rintracciarlo.
In Diocesi lasciò orme indelebili per aver diffuso la pratica delle Quarantore in onore del SS. Sacramento, la devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria e a S. Filomena.
Era uomo di penitenza e di carità; curò energicamente la disciplina del Clero.
Visitò la vastissima diocesi più volte, e in Curia vi sono diecine di volumi manoscritti frutti delle sue osservazioni, meriterebbero di essere pubblicati.
Ottenne da Roma l’uso della Mitra pei Canonici della Cattedrale in seguito ad un ricorso che quelli gli fecero, per cui fu costretto di andare a Roma coi mezzi di allora. Ne uscì vittorioso, ma si vendicò……. così col Capitolo
N. Monterisi
Al Rev. P. Salvatore M.a Schiavone C. SS. R.
in Materdomini
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Profilo tratto da
Biografie manoscritte del P. S. Schiavone
– vol.1 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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