108. S. Alfonso. Una chiesa, tempio di misericordia.
Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)
108. S. Alfonso. Una chiesa, tempio di misericordia.
♦ La grande chiesa a S. Maria a Vico.
- Contiene il Casale di S. Maria a Vico da tremila e più anime, divise in due parrocchie, ma i due parroci dovevano esercitar uniti le proprie funzioni in una medesima chiesa, non più capace di trecento persone.
- Mille erano gl’inconvenienti. Funzioni di Chiesa o non ve n’erano o erano conculcate. Anche i Padri Pii Operai, avendovi il legato per la Missione, ritardavano di farla per mancanza di spazio.
- Compiangendo Alfonso sin nel suo primo arrivo inconveniente così grave, entrò subito nella più ardita risoluzione di voler formare ex novo una parrocchia, ma capace a poter contenere tutti i residenti. I Parroci pretendevano che si fossero erette due distinte parrocchie. Monsignore dubitando che non si fosse fabbricata né l’una, né l’altra, stabilì di erigerne una come per l’innanzi, ma grande e spaziosa.
- Ardua si conosceva l’impresa; ma ad Alfonso ogni cosa sembrava facile. Avendo tenute varie sessioni coi due zelanti Parroci D. Matteo Migliore e D. Vincenzo Di Mauro, e col Clero e Gentiluomini del Casale, animò i due Parroci a voler rilasciare in beneficio della fabbrica le decime prediali [una servitù su alcuni terreni]. Queste valevano non meno di trecento o quattrocento ducati, e per la congrua restavano cento ducati per ciascuno, oltre il diritto di stola, che non era poco.
- Ottenuto il consenso; ed essendosi cooperato in Camera, ottenne che si obbligasse anche il pubblico per altri duecento ducati annui.
- Sistemato il tutto, Alfonso non vedeva l’ora per mettersi mano alla fabbrica. Avendo chiamato da Napoli gli anzidetti Architetti, fece mettere in disegno una Chiesa magnifica, e spaziosa. Dai Parroci si voleva che prima si fosse accumulato in cassa una competente somma, e poi dar di piglio all’opera, ma Alfonso disse: “Se si vuole ciò, non si verrà mai a capo; io voglio che si incominci la fabbrica; se la Chiesa non s’incomincia, non potrà mai vedersi terminata“. Essendosi destinati otto Economi, cioè quattro secolari, e quattro ecclesiastici, fece dare di piglio allo scavo delle pedamenta. Portandosi di persona, per osservarlo, e sembrandogli il vaso anche angusto per il popolo in tempo di Missione, con maggior confidenza dilatar fece la pianta. Lieto e non capendo tra se, per l’opera intrapresa, ponteficalmente vestito, e preceduto dal Clero, egli medesimo nell’anno 1763, vi pose colle solite preci, la prima pietra.
- Vi fu chi disse vedendolo oltremodo festante: “Poco ci vuole che Monsignor vi celebri i Pontificali, prima di alzarsi la Chiesa”.
- Anche Alfonso concorse non poco a questa spesa, e dir dobbiamo aver preso a conto suo tutta la fabbrica. Aveva dieci Ducati, e tutti li esibì per un’opera di quindicimila e più ducati: vale a dire, che ci pose la sua confidenza.
- Il Popolo, animato dalla magnanimità del suo cuore, concorse anch’esso con spontanee oblazioni. Anche i due Parroci D. Matteo Migliore e D. Vincenzo di Mauro, concorrendo con la di lui confidenza, si distinsero singolarmente nella pietà e nel disinteresse. Gi scrissero, tra l’altro, che si contentavano, che restasse per essi quel tanto di emolumento, quanto poteva bastar a mantener di vitto e vestito un semplice servitore.
- Contento Alfonso per quest’opera, ogni volta che si ritrovava in Airola, non mancava si andarci, ed animar ancora di più il popolo con la presenza e colla predicazione..
(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 35). – Leggi tutto nell’originale.