S. Alfonso. Tra aspri litigi e misericordia

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178. S. Alfonso. Tra aspri litigi e misericordia.

Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)

178. S. Alfonso. Tra aspri litigi e misericordia.

♦ In Arienzo si era reso vacante un Canonicato, e al Papa ne spettava la provvista. Tra i tanti, che si raccomandavano ad Alfonso, per la commendatizia in Roma, si presentò e la pretendeva per un suo Fratello Mansionario, un Gentiluomo, che tempo innanzi lo aveva già inquietato per l’altro Fratello minore nel concorso del canto, e che pretendeva il Mansionariato.

  • Monsignor Alfonso, dimentico di ogni offesa, non essendo soddisfatto della condotta del Mansionario, esibì la Commendatizia per Fratello il minor, che peranche si tratteneva in Napoli, avendone di questo ottimi riscontri.
  • Il Gentiluomo non restò appagato, non convenendo che veniva preferito il fratello minore al maggiore. Ma Monsignore non si spostava, ed il Gentiluomo, volendola vinta, mise in angustie il povero vecchio, che quindi si vedeva assediato sia da questo che da altri pretendenti. Volendosi togliere d’imbarazzo, e non cedendo il Gentiluomo, Alfonso non diede fuori commendatizie né per il Mansionario né per altri. Tutti si aiutarono in Roma, e alla fine si vide eletto Canonico un vecchio Sacerdote, che meno si pensava.

Questa scelta pose Alfonso in un mare di affanni. Persuaso il Gentiluomo, che Alfonso avesse fatto la commendatizia per il provveduto Sacerdote, diede nelle più alte escandescenze. Si credette burlato, l’insultò, gli tolse il rispetto e lo caricò di vitupero.

  • Vedendosi così malmenato, Alfonso gli disse: “Mi dai questa mortificazione: non me la merito, ma me la prendo per amore di Gesù Cristo”.
    Anziché calmarsi, il Gentiluomo più s’inviperì, né finiva di caricarlo coi termini i più ingiuriosi. A Monsignore dispiaceva non l’offesa sua, ma l’offesa di Dio; gli disse: “Non ho mai giurato, ma ora vi giuro, che non ho fatto in Roma alcuna commendatizia”.
    Il confronto fu talmente aspro che muti si videro il Vicario e i familiari presenti, non sapendo, che altro di peggio poteva accadere, se il Gentiluomo continuava ad irritarsi.
  • Non finì qui la faccenda. Sdegnato, il gentiluomo gli volta le spalle, lo minaccia di volerlo rovinare e di farlo pentire. Infatti, a capo di alcuni giorni, fece un ricorso troppo nero e falso in tutto, presso la Real Giurisdizione. Va, ed essendo Notaro. Gli intima e una lettera del Delegato dicendogli temerariamente:”Per ora prenditi questa sfogliatella, che appresso tengo altra roba per ricrearti!.
  • Ricevendo Alfonso con volto ilare la lettera, ringraziò il Notaro e disse: “Me la prendo per amor di Dio”. E quello, entrando in maggior furia, sdegnato, lo carica di nuovo con mali termini; né finita l’avrebbe se i presenti, prendendolo per il braccio, non l’avessero cacciato fuori.

Una tale temerarietà contro un uomo che non sembrava uomo, ma cadavere, fece senso in tutti; né ci dava pace per tanta moderazione in Monsignore, che alla fine disse: “Via, mo, finitela, che non è niente: è un poveretto, e tratterò io, per quanto posso, di raddolcirlo e renderlo consolato”.

♦ Ma non  finì qui la rabbia del Notaro. Unendo un mucchio di altre falsità, e formandone un libello, lo presenta al Real Trono. Tra l’altro accusa Alfonso, come refrattario delle Reali Disposizioni; e che per dipendere dal Papa, e non dalla Maestà Sua, non provvedeva, e teneva in ritardo più Parrocchie.

♦ Trovandosi presente il nostro P. D. Mattia Corrado, disse: “Questo capo delle Parrocchie è vero, ma tutto il resto è falso!”. E avendo umiliato le sue discolpe, si persuase il Re dell’integrità sua, e sua rettitudine e gli fece riscrivere dal Marchese De Marco che “certo il Re di sua savia condotta, si rimetteva alla sua prudenza per la provvista delle Parrocchie”.
Questa Reale determinazione, che non si aspettava, tolse Monsignore da qualunque angustia, e riuscì con non poca confusione dell’accanito Notaro e dei suoi aderenti.

(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 46)  Leggi tutto nell’originale.

Alfonso disse al gentiluomo pretenzioso: “Mi dai questa mortificazione: non me la merito, ma me la prendo per amore di Gesù Cristo”. Poi, rivolto a tutti: “Poveretto, cercherò io, per quanto posso, di raddolcirlo e di renderlo consolato”.