S. Alfonso, teologo ispirato dalla preghiera:
un credente attento ai segni dei tempi.
La gente è abituata a credere che il teologo sia colui che consuma la sua vita nelle biblioteche e sui documenti per indagare le ragioni della fede cristiana. Ad essa sfugge che oggi si rilascia l’identità di teologo a chi sa trasformare la scienza in sapienza del cuore.
Sant’Alfonso de Liguori è uno di questi uomini saggi che nella sua prolungata esperienza pastorale ha intuito che la fonte primaria della teologia è la preghiera, intesa da lui essenzialmente come meditazione e contemplazione del Mistero di Dio, che si trasforma poi in spontanea invocazione. È sua convinzione che nella preghiera l’uomo può sapere ed ottenere tutto ciò che gli è necessario per la salvezza.
L’approccio alfonsiano alla teologia è racchiuso nelle opere: Evidenza della fede ossia verità della fede fatta evidente per i contrassegni della sua credibilità (1762); Verità della Fede (1767); Breve dissertazione contro gli errori dei moderni increduli (1756); Opera dogmatica contro gli eretici pretesi riformati (1769); Trionfo della Chiesa, cioè Istoria delle eresie colle loro confutazioni (1772); Riflessioni sulla verità della Divina Rivelazione (1773); Condotta ammirabile della divina Provvidenza in salvare l’uomo per mezzo di Gesù Cristo (1775); Dissertazioni teologiche‑morali appartenenti alla vita eterna (1776).
In queste opere l’autore non pretende di essere un teologo di professione ma un credente che attento ai segni dei tempi, vuole conservare autentica ed operosa la fede che professa.
Oggi sarebbe necessaria un’attualizzazione di tutte le sue argomentazioni e del suo linguaggio. Restano ancora valide le scelte pastorali essenziali e la chiara conoscenza della realtà del suo tempo e delle idee propagate dal materialismo ateo, deismo, illuminismo e giansenismo.
L’opera dogmatica di sant’Alfonso trova le sue radici nel valore fondamentale della fede e nella “condotta ammirabile della divina Provvidenza in salvare l’uomo per mezzo di Gesù Cristo”, abbozzando una singolare teologia della storia.
Sant’Alfonso dedicò molta fatica nella stesura dell’operetta “Evidenza della Fede” ove a giudizio dei contemporanei “stanno spiegate con brevità e chiarezza le cose più astruse della Religione” (Lettera a Remondini del 14.10.1763).
La preoccupazione più forte dell’Autore è quella di far risaltare mediante “contrassegni” la verità della fede. Nel mistero cristiano la fede, e non la ragione, conosce la verità ed è la fede che dà il tocco di autenticità al pensiero dell’uomo. Dio ci guida alla salute, scrive sant’Alfonso, per via di fede. Essa è una “scienza” che supera ogni altra scienza ed avanza tutti i lumi della natura umana ed angelica.
I motivi di credibilità largamente commentati dal santo sono: la santità della dottrina cattolica, la sua universalità, la sua continuità ed inalterata autenticità, l’avveramento delle profezie, la straordinarietà dei miracoli e la coraggiosa testimonianza dei martiri.
La verità della fede è fondata sulla “verità della Divina Rivelazione”. Al Liguori preme molto provare chela Rivelazioneè necessaria, ragionevole e portatrice di felicità alle persone e di tranquillità alla società. Solo per rivelazione, Egli scrive, l’uomo può conoscere “con certezza e senza errore tutto ciò che occorre per conseguire l’ultimo fine. Senza di essa non vi può essere né santità, né salute, né religione”. La rivelazione è guida alla conversione e alla riconciliazione. Essa collabora alla felicità terrena e definitiva dell’uomo perché questi per essere tranquillo in questa vita deve pur sapere dove consiste la sua felicità.
Per una mentalità eminentemente pratica come quella alfonsiana la fede e la rivelazione diventano “norma” di vita. Egli scrive che “per salvarci non basta il credere quel che insegna la fede ma bisogna vivere secondo c’impone la fede: la buona vita del fedele fa vedere ch’egli ha la vera fede.
Nella Divina Rivelazione inoltre sant’Alfonso individua copiosamente le tracce di “quanto ha fatto Iddio per rendere l’uomo felice”.
La Condotta ammirabile della divina provvidenza vuole essere una smentita autorevole al razionalismo deista che propinava negli animi l’idea di un Dio disinteressato delle vicende umane. In questo suo scritto il Liguori s’impegna a presentare Dio nella storia: un Dio vicino, prossimo degli uomini, che “opera a beneficio delle sue creature”, che vuole e crea l’uomo perché partecipi alla sua stessa felicità. Dio è talmente “dentro” l’uomo che “… ha fatto gloria sua il nostro bene”.
In questo opuscolo è delineato “un disegno amoroso di rendere l’uomo beato” e “la condotta di Dio nell’eseguirlo”. Al Santo non sfuggono i particolari di questo agire di Dio nella storia umana. Dio è colui che conduce i ritmi della vicenda del mondo secondo un piano d’amore: “Molte cose che a noi sembrano avvenire a caso, tutte sono ordinate da Dio secondo i suoi disegni. Egli dona e toglie la potenza, egli la trasporta da un popolo ad un altro; e così ci fa intendere che quanto riceve l’uomo lo riceve da Dio e quanto l’uomo opera fuori della divina disposizione a nulla vale”. E prosegue: “tutti i tempi dacché è stato creato il mondo fanno vedere eseguito il disegno di Dio di salvare l’uomo per mezzo di Gesù Cristo”.
Questa perennità del disegno salvifico ha come esecutore principale Dio che opera senza soluzione di continuità e sempre con novità sorprendente. Perciò tutti gli avvenimenti accaduti dal principio del mondo “curati amorevolmente da Dio” a beneficio degli uomini tessono una vera Storia della salvezza, in cui l’Antico Testamento è visto come profezia del Nuovo Testamento, che in Gesù Cristo diventa tempo definitivo della Redenzione. Sin dall’inizio Gesù Cristo è nel pensiero del Padre come colui che doveva portare a compimento la promessa della salvezza. L’aspetto visibile di questa condotta provvidenziale èla Chiesache “è stata la stessa in tutti i tempi… da principio è stata vera, sempre vera sarà”.
Di questo piano e della condotta di Dio si conoscerà la rettitudine e la saggezza alla fine del mondo: “tutto allora risponderà in esaltazione della divina gloria“.
La teologia alfonsiana è attenta alla problematica del suo tempo. È veramente impressionante la conoscenza delle idee correnti nel ‘700 italiano ed europeo che Alfonso ha indagato con estrema vigilanza. Un brano dell’operetta Verità della fede ci fa comprendere come il suo scrivere è fortemente stimolato: “Per tanto in questi ultimi tempi è uscita fuori una moltitudine di libri pestiferi ripieni d’empietà; ma l’uno è difforme dall’altro”.
La sua teologia come l’ascetica e la morale nascono dall’esperienza e da un’anima apostolica. Egli scrive per “chi già crede, affinché si consolidi nella sua credenza e ne renda grazie a quel Signore che ne l’ha fatto degno”. Il suo ambito di ricerca e approfondimento è quello teologale, che diventa il motore vitale di ogni cristiano, con una metodologia pratica e diretta.
Il più noto teologo napoletano del ‘700 scrive contro gli atei provando l’esistenza di Dio con argomenti di ragione, confutando in modo particolare le opinioni di Epicuro, Hobbes, Locke, Spinoza. Contro i deisti sostiene la necessità della rivelazione perché non si oppone alla ragione e alla felicità dell’uomo. Contro i non cattolici dimostra la veridicità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo.
Dalle due accurate affermazioni si profila chiaro il principio unificatore del suo pensiero teologico: la Chiesadi Gesù Cristo è scuola e maestra di verità. Essa è visibile in tutto il mondo, ed ha conservato e conserverà fino alla fine dei secoli uniti i fedeli a ben camminare nella via della salute: Chi non ubbidisce alla Chiesa non dee tenersi più per cristiano. Nella Chiesa si trova: la vera carità verso Dio e verso il prossimo, il vero spirito di propagare la fede, e la vigilanza dei pastori nel conservarla, la Paroladi Dio che è la regola di fede dei cattolici e l’ infallibilità, proprietà necessaria per l’unità e la fedeltà del popolo cristiano. In questo modo il Santo individua nella Chiesa la via maestra da percorrere e la custode fedele di tutti i mezzi della salvezza.
Nell’opera alfonsiana c’imbattiamo inoltre in un approccio fiducioso al problema della grazia. Contro ogni affermazione discriminante dei giansenisti sant’Alfonso è certo che Dio vuole tutti salvi. Se pochi si salvano non è colpa di Dio o della sua legge. Egli ne dà la prova. Interloquendo con i rigoristi della vita cristiana il Liguori ritiene che per operare il bene è necessaria la grazia di Dio che muova efficacemente la volontà umana. Dio non dà di primo acchitto a tutti la grazia efficace di operare il bene ma dà a tutti il mezzo certo per ottenerla se vogliono: “questo mezzo è la preghiera; e così tutti, chiedendo a Dio la grazia efficace, possono osservare i comandamenti, perseverare e salvarsi“.
La preghiera è chiamata da sant’Alfonso grazia comune o sufficiente perché è concessa a tutti. Essa trova la sua motivazione nella fedeltà di Dio che non fa mancare all’uomo ciò che è necessario alla sua salvezza. Tutti hanno la possibilità di pregare se vogliono e di ottenere così la grazia della conversione, della perseveranza nel bene e dell’amicizia con Dio.
Con un’intuizione catechetica molto profonda e nello stesso tempo alla portata di tutti Egli sintetizza il suo pensiero nell’espressione: “chi prega certamente si salva!”.
(Avvenire, 2 agosto 1987)
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Riportato in
Sulle orme di S. Alfonso
di Antonio Napoletano
Valsele Tipografica, Napoli 1989, pp.23-26