250 anni fa S. Alfonso venne nominato Vescovo: come, quando e perché – Parte prima.
Prezioso contributo storico del prof. P. Giuseppe Orlandi
250 anni fa S. Alfonso venne nominato Vescovo: come, quando e perché – Parte prima
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Un momento difficile per S. Alfonso (i titoletti sono redazionali)
Quello tra gli inizi di marzo e la metà di giugno del 1762 fu uno dei periodi più difficili della vita di s. Alfonso. Era lui stesso a dirlo, parlando della ordinazione episcopale, conferitagli «contro sua voglia», costretto «ad accettare ciò che non voleva, spaventato dal peso, e dai giudizi di Dio».
La promozione alla sede vescovile di Sant’Agata de’ Goti gli era giunta del tutto improvvisa ed imprevista nel 1762, quando, anche per l’età, poteva ormai considerarsi al riparo da un rischio al quale riteneva di essere definitivamente scampato fin da quando, nel 1732, aveva lasciato Napoli per dedicarsi all’attività missionaria. In realtà, in seguito dovette constatare che si trattava di una speranza infondata, dato che più volte sarebbe stato in pericolo di venire promosso all’episcopato.
Nel 1736 era stato il padre a prospettargliene l’idea, sentendosi rispondere da Alfonso di non palarne più, dato che era pronto a rinunciare anche all’arcivescovado di Napoli, per attendere alla grande opera apostolica alla quale Gesù Cristo lo aveva chiamato. Più concreto fu il rischio corso nel 1747, allorché la Corte lo candidò ad una sede vescovile non identificata (ma non a quella di Palermo, come è stato erroneamente detto).
In seguito, il suo nome apparve varie volte nelle liste preparate dal governo napoletano. Per esempio, nel 1752 per l’arcivescovado di Otranto (figurava al terzo e ultimo posto, con la seguente nota: «D. Alfonso Liguori, Patrizio Napoletano di Piazza, sacerdote di sufficiente dottrina, di santi costumi, e continovamente impiegato per le campagne e villaggi, in far missioni e nell’istruir la gente più povera ed ignorante nella nostra santa religione»), e nel 1759 all’arcivescovado di Salerno (era al quinto ed ultimo posto, con la seguente nota: Il sacerdote Don Alfonso di Liguori, fondatore della casa di Missione de’ Padri Giurani, dimorante in Nocera de’ Pagani, otto miglia distante da Salerno, d’anni 59, applicato indefessamente alle sante missioni; soggetto di somma bontà di vita, e la cui dottrina è ben nota per le varie opere, specialmente della teologia morale, date da lui alle stampe»).
L’arrivo del messaggero
Uscito indenne da tali pericoli, Alfonso nel 1762 poteva ormai considerarsi al sicuro, anche perché allora nel Regno di Napoli i vescovi venivano scelti fra i candidati che avevano tra i 45 e i 52 anni (l’età minima era di 30 anni), quindi ben più giovani di lui che di anni ne aveva ormai 66.
A far vacillare le sue certezze fu un messaggero della nunziatura di Napoli, presentatosi il 9 marzo nella portineria di Pagani, latore di una lettera proveniente da Roma. Era di mons. Andrea Negroni, uditore del papa (detto anche Uditore santissimo), che lo informava che Clemente XIII lo aveva nominato vescovo di Sant’Agata de’ Goti. Per Alfonso fu come un fulmine a ciel sereno, anche se non tardò a convincersi che – informandolo della situazione in cui si trovava – gli sarebbe stato facile indurre il papa ad accettare la sua rinuncia.
Nella lettera inviatagli lo ringraziava della bontà usata nei suoi confronti, ma nello stesso tempo gli esponeva la sua insufficienza, l’avanzata età, il cattivo stato di salute, il voto emesso di non accettare cariche fuori della Congregazione, e il conseguente scandalo che ne sarebbe derivato per i confratelli se egli avesse accettato il vescovado.
La volontà di Dio
Il passo fu inutile, dato che una decina di giorni dopo gli giunse da Roma la conferma della nomina. L’inconsueta fermezza con cui il papa rifiutava di tornare sulla sua decisione era dettata anche dalla convinzione che – preferendogli un outsider come il padre de Liguori – avrebbe resa meno amara l’esclusione ai numerosi aspiranti alla sede santagatese, tutti raccomandati da ragguardevoli personaggi.
Ad Alfonso non restava che rassegnarsi alla volontà di Dio, espressa per mezzo del suo Vicario. Si recò a Napoli per espletarvi le formalità d’uso, e procurarsi le insegne vescovili. Da vescovo userà due croci pettorali: nei giorni ordinari, una di rame dorata; e nelle funzioni episcopali, l’altra di argento dorato, munito di pietre false. Dell’anello episcopale dirà che aveva «fatto la sua figura a Roma, perché nessuno sapeva che io avevo rotto la mia più bella bottiglia per farmi segare questo diamante». L’altro anello, che era appartenuto allo zio materno, mons. Emilio Cavlieri, lo venderà per darne il ricavato ai poveri.
Verso Roma, ma ancora con qualche speranza
Il 19 aprile, lunedì in Albis, Alfonso partì da Napoli per Roma, dove – superato il prescritto esame – avrebbe ricevuto l’ordinazione episcopale. Viaggiava sulla carrozza, acquistata con il denaro anticipatogli da suo fratello Ercole. Lo accompagnava il p. Andrea Villani, che gli serviva da guida, essendo stato a Roma quattordici anni prima a svolgervi le trattative per l’approvazione della regola.
Alfonso non doveva avere perso del tutto la speranza di riuscire a sottrarsi all’episcopato, dato che prima di giungere nella Città Eterna si recò a Cisterna, a conferire con il card. Giuseppe Spinelli, ex arcivescovo di Napoli e attuale prefetto di Propaganda Fide e vescovo di Ostia e Velletri.
Il Santo sapeva che era stato lui a suggerire al papa la sua «disgraziata» nomina, ma dovette sperare che, se avesse constatato di persona il suo precario stato di salute, si sarebbe trasformato in patrocinatore della sua causa, cioè della rinuncia. Come era prevedibile, il tentativo non sortì l’esito sperato. Il Cardinale lo assicurò che era Dio che lo voleva vescovo, e che pertanto doveva rassegnarsi al suo volere.
Alfonso riprese il viaggio per Roma, dove giunse il 25 aprile. Saputo del suo arrivo, vari cardinali ed altri ecclesiastici e personaggi della nobiltà si recarono a fargli visita. Il principe Gaetano Boncompagni gli offrì per il suo soggiorno romano un appartamento e una carrozza. Alfonso accettò la seconda per potersi muovere più facilmente in città, mentre preferì l’ospitalità offertagli dai Pii Operai di S. Maria dei Monti.
Per due mesi, con Villani, visse con loro come in una casa del suo Istituto. Non mancò di tenere il solito comportamento mortificato, come quando – essendogli stato offerto un gelato in un giorno di grande calura – preferì una bevanda a base di solo zucchero e limone, detta acquafresca.
Giuseppe Orlandi, C.Ss.R.
Estratto da Scalanews Bollettino CSSR n. 78 – Leggi l’originale
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Diapositive dal fumetto di Henriette Munière e J.Heinzmann 1982; elaborazione di Salvatore Brugnano – Vedi tutto