Un umanista del ‘700 italiano – Alfonso Maria de Liguori
8. S. Alfonso latinista
S. Alfonso latinista
Una quindicina dei suoi libri sant’Alfonso li ha scritti in latino (coadiuvato in ciò dai suoi confratelli). Che egli — uomo di vasta cultura e di molteplici interessi — fosse familiarizzato con la lingua di Roma non deve certo destare meraviglia. Si ricordi, fra l’altro, la solida formazione di base impartitagli dal professor Buonaccia. La cosa poi appare normale in un uomo di Chiesa, e in un tempo in cui in Europa il latino godeva ancora di alto prestigio presso letterati ed eruditi. Del resto nel suo secolo e nel suo ambiente troviamo diversi scrittori bilingui; ricordiamo G.B. Vico, A.L. Muratori, A. Genovesi.
Oltre che scrivere in latino, egli tradusse in latino e dal latino. Diamo i titoli delle sue opere scritte direttamente in latino e di quelle che, in un secondo tempo, ha tradotto in latino: Theologia moralis, Epitome doctrinae moralis et canonicae ex operibus Benedicti XIV, Homo apostolicus, Praxis confessarii ad bene excipiendas confessiones, Institutio catechistica ad populum in praecepta Decalogi et sacramenta. Dal latino ha redatto la Traduzione dei Salmi e de’ Cantici.
Si aggiunga la traduzione di migliaia di citazioni latine — con alcune greche e francesi — dalla Bibbia e da scrittori classici e moderni.
Oltre che perfetto fruitore della lingua latina, sant’Alfonso è anche un acuto studioso della parola latina — è pure filologo?
Abbiamo, di quest’altra sua caratteristica, una testimonianza nella lettera che il 4 marzo 1770 scrisse da Arienzo ai suoi congregati. In essa si impegna, dopo meticolosa ricerca, a dimostrare l’esatta traduzione della parola aedes, che il p. Tannoia aveva preso nel senso di camera. La proponiamo nei passaggi essenziali.
«Fratelli miei carissimi… Ho letto poi lo scritto del Padre Tannoia, il quale si affaccia a provare, che la parola aedes significa ancora camera o cella cogl’esempi, che porta il Calapino di Facciolati. Io ho osservato così il Calapino di Facciolati, come l’altro antico, e quello di Torino, ed ho trovato, che la parola aedes, secondo il senso ovvio, ed ordinario, significa case, non già camere, o celle, specialmente quando sta nel numero plurale.
Le parole del Facciolati son queste: Sed tamen pro aedificio profano frequentius plurali numero usurpatur, cuius rei passim occurrunt exempla. Si noti frequentius, e passim. Sicché la parola aedes aedium si prende communemente per case, mentre passim gli Autori la spiegano per case. E vero, che talvolta si prende per cubicolo, camera, o cella, ma ciò è, quando vi è l’addito, o sia aggiunga nel contesto del senso, come si legge in quel passo di Curzio: proximi foribus aedis, in qua Rex acquiescebat. Ed in quell’altro: ad fores aedis eius, in qua Rex vescebatur. Ivi aedes significa camera, ma ciò si argomenta dagli additi, che vi sono, cioè vescebatur, e acquiescebat. E così anche si spiega quel passo di Virgilio presso Facciolati: aut intus clausis cunctantur in aedibus omnes. Qui aedibus significa cellette, ed il contesto lo spiega per cellette, mentre si parla delle api.
Lo stesso si osserva in quel passo di Plauto addotto nel Porto Reale: insectatur omnes domi per aedes. Ecco ivi anche l’addito, cioè la parola domi, dicendo Plauto, aedes domi. Ma quando la parola aedes sta sola, e dalle parole aggiunte non si specifica per camere, o celle, come dice Facciolati passim, secondo il senso ovvio, aedes in plurali si prendono per case, come ordinariamente si scrive da’ Conventi: ex aedibus S. Dominici, S. Laurentii etc. E perciò il privilegio dice Congregationis aedibus. Se si volesse intendere aedibus Domorum Congregationis, e dire anche nelle celle della Congregazione, sarebbe stato un parlare troppo improprio…» (1).
Lo stile delle sue opere latine è lo stesso usato per gli scritti in italiano e per la predicazione: semplice e chiaro, tale da essere capito da tutte le categorie alle quali, di volta in volta, si rivolge.
«Per il suo stile altamente classico, essenzialmente ciceroniano, ma integrato e variato alla scuola degli scrittori latini cristiani e alla fonte biblica, Alfonso M. de Liguori è stato, e rimane, grande anche come latinista, come scrittore latino, non solo nel suo secolo, ma in tutta la storia della letteratura latina moderna: il latino è stato una delle sue armi vincenti; il latino ha potenziato il suo ingegno, ha consolidato la sua dottrina, ha appoggiato il suo zelo apostolico, ha rafforzato il suo vigore polemico, ha accresciuto la sua fama: egli, ben consapevole della forza portante del latino, volendo uscire dalla ristretta area dei suoi luoghi e d’Italia per conquistare il mondo, non per ambizione e vanità personale, ma per il trionfo di Dio e della Chiesa, egli, mente europea e universale, egli, nuovo apostolo delle genti, al latino ha chiesto un maggiore aiuto e il latino, dando ali al suo messaggio apostolico, lo ha validamente aiutato e maggiormente immortalato» (2).
Lo stile delle opere alfonsiane in latino
«Naturalmente quello che Alfonso M. diceva a proposito della retorica, riferendosi al predicatore, vale anche per lo scrittore, tanto più per lo scrittore latino. Attenzione, dunque, all’apparente semplicità stilistica di Alfonso M. scrittore latino: dietro di essa, ripetiamo, c’è tutta una educazione retorica, una institutio oratoria essenzialmente ciceroniana!
Il suo stile, lungi dall’essere umile o popolare, riecheggia particolarmente Cicerone delle opere filosofiche e retoriche, del De officiis e dell’Orator, in cui il sommo scrittore latino traccia quello che, secondo lui, è il tipo del perfetto oratore. Stile, dunque, quello di Alfonso M., semplice, chiaro, ma innegabilmente elegante, articolato in periodi di ampio respiro, ben sagomati, a prevalente struttura ipotattica, anche se di solito non abbelliti da folia e flores: Alfonso M., ciceroniano che, per conseguire il suo obiettivo apostolico, nasconde e sacrifica il dicendi artifex che è in sé e scrive apostolice.
Che se noi scorriamo, a parte la Prefazione, la dedica della prima edizione della sua Theologia moralis a Mons. Giuseppe Nicolai, Arcivescovo di Conza, e poi la dedica della seconda edizione della medesima opera alla Santità di Benedetto XIV, maggiormente balza dinanzi ai nostri occhi tutta la educazione retorica e ciceroniana di Alfonso»
Riccardo Avallone (3).
- Apri la dedica della Theologia Moralis a Mons. Giuseppe Nicolai, Arcivescovo di Conza, 1a ed., Napoli 1748 (Foto Giorgio Vasari). – Pdf
- Apri la dedica della Theologia Moralis a Papa Benedetto XIV, 2a ed., Napoli 1753 (Foto Giorgio Vasari). – Pdf
- Apri il testo della dedica della Theologia Moralis edizione Gaudé a Papa Benedetto XIV, ediz. 1905. -doc.
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Note
(1) S. Alfonso, Lettere, I, pp. 142-143.
(2) R. Avallone, Alfonso M. de Liguori latinista, in P. Giannantonio op. cit., p. 537.
(3) R. Avallone, , op. cit., p. 524.