197. S. Alfonso. La porta della vita.
Pagine Alfonsiane sulla Misericordia
197. S. Alfonso. La porta della vita.
♦ Oltre ad essere la fine delle fatiche, la morte è la porta della vita. Chi vuol entrare nella vita eterna deve necessariamente passare da questa porta: E’ questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti (Sal 117,20). San Girolamo invocava la morte, dicendo: “Aprimi, sorella mia”: se tu non mi apri, io non posso andare a godere il mio Signore.
- San Carlo Borromeo aveva in casa sua un quadro, nel quale era raffigurato uno scheletro con la falce in mano. Chiamò il pittore e gli ordinò che, al posto della falce, dipingesse una chiave d’oro, perché la morte ci apre il paradiso e ci introduce nella visione di Dio.
- Il santo vecchio Simeone, quando ebbe tra le braccia Gesù Bambino, non seppe domandargli altra grazia che la morte, per essere liberato dal carcere della vita presente: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace (Lc 2,29). Sant’Ambrogio commenta: “Chiese di essere lasciato andare, come se fosse trattenuto in vita a forza”. La stessa grazia desiderava l’Apostolo: Desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo (Fil 1,23).
- L’anima che ama Dio si rallegrerà nel sentire che tra poco uscirà dal carcere di questa terra, per andare a godere Dio. Dice san Paolo: Finché abitiamo nel corpo, siamo in esilio lontano dal Signore (2Cor 5,6), cioè viviamo come in terra straniera, fuori della nostra patria.
♥ Per questo la morte dei santi è chiamata il loro giorno natale: perché con la morte essi nascono alla vita beata, che non avrà mai fine. Per i giusti la morte non è altro che un passaggio alla vita eterna.
Questa è la grazia che ci ha ottenuto Gesù Cristo, come era stato promesso per bocca del profeta Osea: O morte, io sarò la tua morte (Os 13,14 Vg). Gesù infatti, morendo per noi, ha trasformato la morte in vita.
(S. Alfonso, Apparecchio alla morte, VIII, 3)
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