S. Alfonso. In difesa delle mogli tradite

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244. S. Alfonso. In difesa delle mogli tradite.

Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)

244. S. Alfonso. In difesa delle mogli tradite.

♦ Se con gli uomini celibi Alfonso non trovava pace, vedendoli in peccato, maggiormente era in pena per le persone ammogliate. Gli era di pena l’angustia delle povere mogli, e molto più si affliggeva per il disprezzo del Sacramento.

  • In un Paese della Diocesi non ci fu modo di vedersi rotta la relazione che con scandalo del pubblico e con rammarico della famiglia, si vedeva tra un gentiluomo ed una donna infame. Alfonso non sapendo più che farci: ne diede parte al Re. Chiamato nel Tribunale di Montefusco, il Gentiluomo, si dovette obbligare, con suo scorno, sotto pena della Reale indignazione di non trattarla più. E Alfonso, volendo levare alla donna ogni pretesto per peccare, le assegnò un tanto al giorno per vivere. Si ravvide e fu costante nel suo ravvedimento.
  • Corretto, ma non emendato, vi era in Arienzo un Chirurgo ammogliato: aveva relazione con una zitella, anzi sfacciatamente se la faceva venire in casa, anche a vista della moglie e dei figli. Non potendone più Monsignore, avendone data parte al Re, lo fece arrestare nel Tribunale di Campagna. Avevo dato prova di pentimento, dopo lungo tempo ne uscì, obbligandosi a non conversare più con quella sciagurata. Ma ricaduto di nuovo, avendone Monsignore fatto inteso il Tribunale, per la seconda volta, si vide nelle carceri. Stando nelle carceri, avendo inteso che Monsignore trattava di mettere la zitella in un Conservatorio di Nola,suggrì che, sotto pretesto di salute, avesse resistito; ed incaricò l’amico ad vigilare, se gli era fedele e costante. Ne pianse Monsignore in saperlo; e non mancò farvi venire un Subalterno da Montefusco, per finirlo di processare; ma non gli riuscì di aver la lettera nelle mani. Penò molto tempo in quelle carceri e non si vide fuori se non compunto ed umiliato; e Alfonso non si stimava scontento per il denaro che ci aveva speso.
  • In Airola viveva irrettito da più tempo un Gentiluomo primario e titolato. Avendo accantonata la propria moglie, godevasi in casa, con grave scandalo della Città e dei propri figli, una donnaccia, chiamata per soprannome la Guttisana. Alfonso, nel giungere in Diocesi non mancò ammonirlo, ma tutto fu perduto. Ostinato, perché prepotente, se ne beffò. Alfonso non potendone più, facendoli compassione l’afflitta moglie, e dolendogli uno scandalo così grave, ricorse al Principe della Riccia, perché suo vassallo. Anche questi non lasciò mezzo, per vederlo rimesso. Fu arrestata la donna per togliergli l’occasione: prima fu da birri ben bene bastonata e poi bandita dai suoi stati.
  • Ma il Gentiluomo, anziché rimettersi, vieppiù malmenò la moglie. E il Principe, assistito da Monsignore, rilevando altri suoi eccessi, lo imprigionò in Napoli nella gran Vicaria.
    Dopo penato lungo tempo, Alfonso credeva, facendogli compassione il suo stato, che si fosse rimesso, e pregato dall’afflitta moglie, avanzò lettera di mediazione presso il Principe. Questi, che ne sapeva di più, gli rescrisse: “Il carattere di costui è troppo instabile. Da queste stesse carceri egli scrive alla sua antica innamorata Maria Schettini. Si vede che il castigo non l’abbatte, ma lo rinforza vieppiù nelle iniquità. No, no, né a Dio, né agl’uomini voglio esser responsabile. V. S. Illustrissima faccia ciò che le pare a suo vantaggio, non ostante che i primi passi che ho dati contro di lui siano stati eccitati dal suo zelo pastorale”.
    Inorridì Alfonso in sentirne la pertinacia. Così ostinato qual’era nella sua iniquità, dopo molti anni, vi lasciò in quelle carceri la vita.

(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 58)  Leggi tutto nell’originale.

Alfonso non trovava pace, vedendoli i Gentiluomini in peccato, specie per quelli ammogliati. Gli era di pena l’angustia delle povere mogli e molto più si affliggeva per il disprezzo del Sacramento.