306. S. Alfonso. I capponi della mensa vescovile.
Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)
306. S. Alfonso. I capponi della mensa vescovile.
♦ Alfonso era alieno da qualunque interesse personale, ma era attento che non venissero pregiudicati i diritti della Mensa vescovile. In questo egli era occulatissimo e non la dava per vinta a nessuno.
- Dopo che giunse in S. Agata, si vide presentare, nella Vigilia di Natale, quattro capponi per ciascheduno dai Parroci e Beneficiati, come anche da Monasteri.
Alfonso, credendoli spontanea regalìa, non volle riceverli. Saputo il rifiuto, subito si portò da lui l’Arcidiacono Rainone, e gli fece presente, con documenti alla mano, che quella non era una spontanea regalìa, ma il capo di rendita spettante alla Mensa, e rifiutandoli, pregiudicava i suoi successori. - A questo punto il vescovo Alfonso non solo li ammise, ma li volle anche in seguito. Anzi, volendone fare un capitale, appaltò subito un polliere per averne in danaro equivalente. E graziosamente soleva dire ai suoi: “Questo è un piatto per i poveri e non per noi, che non siamo galantuomini”.
- Un giorno D. Pasquale Diodati, Parroco di Bucciano, gli disse: “Non so donde si rileva questo tributo dei capponi” E, così dicendo, dava ad intendere che poca aveva voglia di mandarglieli.
– Rispose Monsignore: “Questo sta notato, ed io non posso pregiudicare i miei Successori”.
– Riprese D. Pasquale: “Non sarebbe meglio che se ne facesse elemosina dal Parroco?”
– Monsignore, intuendo il gioco, disse: “L’elemosina la faccio io. Il meglio che potete fare è: mandatemi i tarì e tenetevi i capponi!”.
(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 70). – Leggi tutto nell’originale.