19. S. Alfonso e l’Eucaristia.
Amore profondo all’Eucaristia [i titoletti sono redazionali]
Un canto di S. Alfonso recita
«Fiori, felici voi, che notte e giorno
vicini al mio Gesù sempre ne state;
né vi partite mai, finché d’intorno
tutta la vita alfin non vi lasciate […]
Ahi! qual sorte saria la mia, qual vanto
finir la vita alla mia Vita accanto».
S. Alfonso sentiva profondamente l’amore di Gesù nell’Eucaristia. L’Eucaristia fu il mistero che attirò in modo irresistibile S. Alfonso, impegnò la sua fede, conquistò il suo amore, stimolò la sua riflessione; riflessione che egli portò sull’Eucaristia vista come sacrificio, come comunione, come presenza reale di Cristo.
L’Eucaristia come sacrificio
S. Alfonso sentì e visse l’Eucaristia anzitutto come sacrificio. Nelle sue opere ascetiche trattò ripetutamente della messa, mettendone in risalto la natura, la celebrazione, i segni, i frutti e soprattutto le diverse maniere di parteciparvi. Vi dedicò anche un libretto intitolato Del sacrificio di Gesù Cristo. Guidato dal suo senso apostolico, si sofferma di preferenza su quello che può sostenere l’attenzione dei fedeli; di portarne la comprensione del mistero, intensificarne la partecipazione.
Egli presenta la dottrina tradizionale esposta però con la semplicità, con la convinzione, con il fervore di un santo. Eccone alcuni punti salienti. Il sacrificio della messa è un nuovo Calvario. « Si è detto del sacrificio di Gesù Cristo, perché quantunque da noi si distingua con diversi nomi il sacrificio della croce da quello dell’altare, tuttavia in sostanza è lo stesso, perché la stessa è la vittima, Gesù, e lo stesso è il sacerdote, Gesù, che un giorno sacrificò se stesso sulla croce, e solamente la ragione di offrire è diversa. Sicché il sacrificio dell’altare è una continuazione, ossia rinnovazione della croce, solo nel modo di offrire diverso».
Un altro carattere della messa è quello di sacrificio universale. «Essa abolisce e assume tutti i sacrifici antichi, perché è l’unico perfetto. In quanto rinnova il sacrificio della croce, è potente a espiare tutti i peccati e a ottenere agli uomini tutte le grazie. Offrendolo noi riusciamo a soddisfare a tutti i nostri doveri religiosi verso Dio e giungiamo a stabilire un rapporto di amicizia e di fedeltà con Gesù». Come azione liturgica, la messa è il centro, il culmine, l’anima del culto cristiano. Nel suo svolgersi, essa abbraccia elementi essenziali e integranti che si richiamano e si completano: l’offerta, l’immolazione, la comunione, la consumazione della vittima. Gesù rinnova in ogni messa l’offerta già fatta nell’incarnazione, nella presentazione al tempio, in ogni ora della sua vita, nell’ultima cena e sulla croce.
Proseguendo nella sua riflessione, S. Alfonso considera la messa come un dramma i cui attori sono Cristo, il sacerdote, la comunità cristiana.
La messa è anzitutto l’azione principale del sacerdozio di Gesù. Sull’altare, come già sulla croce, egli si immola in piena libertà. Questa oblazione che fece allora non terminò in quel tempo, ma da allora cominciò e dura, e durerà in eterno. Ma Gesù non è solo. Egli ha voluto che un suo ministro continuasse visibilmente la sua opera; strumento vivente nelle sue mani, questi benedice, consacra, consumala vittima. E la messa è anche sacrificio della Chiesa, che vi è tutta presente: Chiesa militante, Chiesa sofferente, Chiesa trionfante, la quale si offre assieme a Gesù nel sacrificio che essa stessa offre. E ogni fedele, in virtù del carattere battesimale, ha diritto con la sua fede e la sua preghiera di offrire il sacrificio insieme al sacerdote celebrante.
Il sacerdote, rivolgendosi ai fedeli, dice: pregate perché il mio e vostro sacrificio. I cristiani devono capire che è anche il loro sacrificio, che nella messa sono anch’essi sacerdoti, offrendo, insieme a Gesù. Sarebbe importante che finalmente i cristiani capissero la loro grande dignità di sacerdoti, anche se in senso più generale.
In questa maniera il sacrificio cruento di Cristo diviene, in forza del potere e della voce del prete, il sacrificio misterioso del Corpo Mistico.
I frutti della messa
Se la messa è un’azione così importante, anche i suoi frutti saranno di grande valore: sacrificio di adorazione, eucaristico, propiziatorio, impetratorio, esso rende una testimonianza suprema agli attributi di Dio; alla maestà, alla giustizia, all’amore sconfinato del Creatore.
La messa è anche una fonte di grazia per tuttala Chiesa, perché allora è Gesù che prega e grida al Padre per mezzo del suo sangue. Se egli ha promesso di ascoltare ogni preghiera che si fa a suo nome, ciò avviene soprattutto nella messa. Scrive S. Alfonso: « Il nostro amoroso ‑ redentore continuamente in cielo sta intercedendo per noi, ma ciò specialmente lo fa nella messa, nella quale Egli, anche a questo fine di ottenerci la grazia, presenta se stesso al Padre per mezzo del sacerdote».
La partecipazione ai frutti della messa dipende da Dio ma anche molto dalle disposizioni interiori e dall’impegno di colui che vi assiste. Quindi è necessario evitare l’atteggiamento passivo, indifferente, distratto di persone che sembra non si rendano conto di quel che avviene sull’altare.
Per ovviare a questo comportamento così poco religioso, e purtroppo abbastanza diffuso, S. Alfonso suggerisce diversi metodi affinché il popolo partecipi alla messa con piena consapevolezza e il fedele non sia solo spettatore.
Egli aveva una stima altissima della messa, ma purtroppo vedeva sacerdoti distratti, impreparati, che la dicevano in fretta e senza alcuna devozione. Qui sorgeva la sua reazione quasi violenta e la sua denuncia che manifestò specialmente in un piccolo libro intitolato La Messa e l’Ufficio strapazzati. Che tristezza, la messa strapazzata! Eppure era così nel Settecento. Forse qualche volta anche oggi.
Sarà utile ascoltare alcune espressioni che rivelano la sua anima ardente e la sua sofferenza. Anzitutto egli fa una dichiarazione di principio: «Posto dunque che la messa è l’opera più santa e divina che possa da noi trattarsi, ne deriva che deve impiegarsi tutta la diligenza, affinché un tal sacrificio si celebri con la maggior purezza interna e con la devozione esterna che sia possibile». S. Alfonso qui usa una frase molto forte: «Osservando come dicono la messa la maggior parte dei sacerdoti, con tanta fretta e tanto strapazzo di cerimonie, bisognerebbe piangere e piangere lacrime di sangue». Ascoltiamo il suo invito accorato a celebrare la messa con la massima devozione.
La Comunione
Un altro punto che S. Alfonso prende in considerazione è la comunione. Egli è ritenuto il rinnovatore e difensore della comunione frequente, per la quale si batté per molti anni. La questione era assai discussa nel suo tempo, quando esistevano due tendenze divergenti: da una parte una tendenza rigida, che metteva in primo piano la considerazione della grandezza di Dio e dell’indegnità dell’uomo, che riteneva frequente la comunione fatta una volta al mese, ogni tre mesi, oppure ogni quindici giorni. Dall’altra parte una tendenza ispirata alla comprensione e alla benignità pastorale, diffusa soprattutto in Italia e in Spagna, che difendeva la comunione quotidiana. Egli si inserì in tale contesto e a poco a poco vi portò chiarezza e una soluzione saggia ed equilibrata.
Per riconoscere il giusto valore della sua azione, occorre tener conto delle vicende che la precedettero.
C’era stata, alcuni decenni prima, la pubblicazione del celebre libro di Antoine Arnaud intitolato: De la freéquente Communion (della Comunione frequente), che si proponeva di riportare la Chiesa alla santità e alla purezza delle origini. Uno dei segni di tale purezza doveva essere l’assoluta venerazione verso i Sacramenti, specialmente verso l’Eucaristia. Si doveva rinnovare la Disciplina Arcani e l’assoluto rispetto verso l’Eucaristia dei primi secoli della Chiesa. Si dimostrava tale rispetto con lo stare il più lontano possibile dalla Comunione. Il libro di Arnaud ebbe una larga diffusione ed esercitò un influsso deleterio tra i cristiani che dilatarono al massimola Comunione; anche in Italia.
Non fu facile opporsi ad una prassi molto diffusa e radicata nella mentalità della gente e degli uomini di Chiesa. Ma S. Alfonso ci riuscì con la sua costanza, con la sua abilità, con il suo zelo di missionario, di moralista, di direttore di anime.
Scrive giustamente uno dei grandi studiosi di S. Alfonso, Carlo Keusch: «Possiamo affermare che alla fine del Settecento Alfonso è stato la grande forza che ha salvato e nuovamente diffuso nella Chiesa di Dio la frequenza dei Sacramenti».
La dottrina che egli proponeva poggiava su due capisaldi: da una parte che fosse rispettata la dignità del Sacramento, dall’altra parte che si soddisfacesse allo scopo dell’istituzione del Sacramento, cioè al bisogno delle anime. La prima condizione racchiude un carattere più alto e sempre obbligatorio, la seconda, invece, che riguarda la pratica è più elastica e dipende, oltre che dalla disciplina della Chiesa, anche dal senso di adattamento e dal buon senso dei confessori.
S. Alfonso fece valere le ragioni della sua lunga esperienza pastorale, dalla quale aveva imparato l’importanza unica della Comunione per la vita interiore, per il progresso spirituale, per il cammino nell’amore di Dio. Scriveva: «Piacesse a Dio che si trovassero nel mondo molte anime disposte a riceverela S. Comunione, non solo spesso, ma ogni giorno».
Un’affermazione coraggiosa quella di S. Alfonso nel Settecento, quando anche i religiosi facevanola Comunionesi e no la domenica ‑ ebbene egli insisté sulla Comunione quotidiana. E come non si può dire che sia precursore di S. Pio X? «Mentre purtroppo ne sono distolte ‑continuava ‑ da certi zelanti preti estremamente rigorosi per difetto di rispetto e di moderazione. Quanto maggiormente sarebbe amato Gesù Cristo sulla terra ricevendo spesso ma con divozionela Santa Comunione». S. Alfonso fece valere anche le ragioni del Vangelo, nel quale Gesù mostra il desiderio ardente di venire in noi conla Comunione; e per raggiungere lo scopo invita insistentemente, minaccia la morte a chi rifiuta il suo invito, promette la vita a chi lo accetta.
S. Alfonso diceva: «Non è necessaria la disposizione degna, non è possibile; basta ‑ ecco l’uomo dell’equilibrio, del buon senso napoletano ‑ basta una disposizione conveniente, quella che possiamo avere noi poveri peccatori e povere creature». Dice che solo Dio potrebbe avere la disposizione degna. Quindi ascoltiamo l’invito di S. Alfonso, riceviamo spesso la Comunione, anche ogni giorno; basta la grazia di Dio e il desiderio di amare il Signore.
La presenza reale
E arrivo alla terza realtà dell’Eucaristia, all’aspetto su cui S. Alfonso portò ancora la sua riflessione: la presenza reale.
Egli ebbe fin da giovane una fede profonda in Gesù presente nell’Eucaristia, espressa nel culto e nell’adorazione, specialmente durante l’esposizione solenne delle quaranta ore che frequentava ogni giorno.
Ogni giorno Alfonso laico, avvocato, passava un’ora in ginocchio dinanzi a Gesù esposto nelle varie chiese di Napoli. Alfonso, uno degli avvocati più illustri del foro di Napoli, trovava il tempo di pregare, perché amava Iddio. Fu allora che visse i momenti più esaltanti della sua vita spirituale. Si mise in dialogo intimo con il Signore, ricevette luce e grazie straordinarie, tra cui la vocazione sacerdotale. E fu in quei momenti che S. Alfonso si sentì ispirato a comporre quel canto così suggestivo che abbiamo citato all’inizio: Fiori felici voi. Egli guarda la lampada che arde e la invidia, perché brucia dinanzi al Signore; pensa alla pisside che contiene il Signore, e allora, con santa invidia vorrebbe essere quel vasetto, che lui chiama sacro, per aver sempre Gesù nel cuore, per vivere e morire per lui e con lui. S. Alfonso fu chiamato il serafino dell’Eucaristia.
Reduce da un’esperienza così forte, volle portare anche gli altri alla medesima devozione e usò tutti i mezzi per riuscirvi. Il mezzo più efficace fu un libretto, intitolato Visite al SS. Sacramento e a Maria SS. Egli stesso ne dichiarò il fine: che le anime s’innamorino maggiormente di Gesù Cristo.
Altro intento fu quello di dare ai fedeli più umili un prontuario di semplici riflessioni, di preghiere amorose per adorare, ringraziare, implorare Gesù. Il piccolo libro ebbe un successo enorme. Fu letto con avidità da religiosi, sacerdoti, laici, richiesto con insistenza, ristampato moltissime volte.
Negli anni prima del Concilio, in tutti i seminari d’Italia, in tutti gli studentati e in molte parrocchie ogni sera si leggevano, si pregavano ‑ uso un’espressione tedesca ‑ le Visite al SS. Sacramento. Si imparavano a memoria.
La loro fortuna così eccezionale sta forse nell’articolazione del libro, nel suo contenuto e nella sua forma; sta soprattutto nei sentimenti che lo pervadono che sono lo specchio dell’anima cristiana, per cui ognuno ci si ritrova. S. Alfonso ha saputo intuire quello che ognuno vorrebbe dire dinanzi al Sacramento dell’altare. Albino Luciani scriveva che Le Visite sono un magnifico manuale di conversazione con Gesù Cristo.
In conclusione riporto semplicemente questo pensiero: «Non si leggono senza commozione le visite al SS. Sacramento dove S. Alfonso ha fuso mirabilmente quanto di più caro e dolce è nel pensiero della Chiesa sull’Eucaristia. Pare il linguaggio di un essere trasumanato dalla visione di Dio. Egli assume gli atteggiamenti più vari dalle parole di un amore timoroso e confidente alle espressioni di una misticità fiorita».
da Lana (BZ) 25 ottobre 1996
P. Giovanni Velocci