S. Alfonso e la vita buona

S. Alfonso e la pratica della vita buona

 

Il primo agosto del 1787 moriva a Pagani (Salerno), all’età di novant’anni, sant’Alfonso Maria de Liguori, uno dei più grandi e illustri missionari italiani. Il suo nome è legato alla morale, alle devozioni e alla pratica della vita buona. Per più di due secoli gli scritti alfonsiani hanno formato né più né meno le coscienze cristiane di tutto il mondo.
Nel giugno del 1762, giusto 251 anni fa, Papa Clemente XIII doveva scegliere il nuovo vescovo di Sant’Agata de’ Goti (Benevento), una diocesi media con circa trentamila abitanti e con una “dote” vescovile di 2.500 ducati l’anno. La scelta a quanto pare non fu facile: troppi pretendenti e raccomandati.
Così il Papa per mettere d’accordo tutti scelse uno dei più illustri missionari del regno di Napoli, Alfonso Maria de’ Liguori. Egli apparteneva alla nobile famiglia dei de’ Liguori, il papà era ammiraglio della flotta reale, la mamma, donna Anna Cavalieri, apparteneva al casato dei marchesi d’Avenia.

A 13 anni si laureò in diritto civile ed ecclesiastico, successivamente lasciò l’arte dell’avvocatura per darsi allo studio e alla preghiera. A trent’anni divenne sacerdote e a trentasei fondatore di una congregazione per l’evangelizzazione del regno di Napoli. Scrittore, musicista, poeta, Alfonso de’ Liguori mise a disposizione della povera gente tutto il suo estro per annunciare la redenzione e la bellezza dell’amore di Dio.
Il biografo padre Antonio Maria Tannoia scrive: «Era Alfonso in età di sessantasei anni. Quando credeva, perché oppresso da mali, esser prossimo alla morte e disporsi per quel passaggio, Iddio, con un tratto di provvidenza, lo richiama a nuova vita e l’investe di un nuovo zelo, per altre opere di sua maggiore gloria».
Lunedì 14 giugno 1762, Clemente XIII preconizzò Alfonso vescovo di Sant’Agata; la domenica seguente fu consacrato nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma dal cardinale Ferdinando Maria de’ Rossi e nel luglio dello stesso anno fece l’ingresso solenne a Sant’Agata dei Goti.

Nei suoi tredici intensi anni di episcopato (1762-1775) sant’Alfonso ha ridato dignità e speranza agli uomini e alle donne di Sant’Agata de’ Goti. Il suo agire è contraddistinto da una forte passione per la giustiza, la carità e l’eticità.
La carestia nel 1764, mentre prostrava miseramente molte diocesi in Italia, diviene, per l’impegno cristiano ed etico di sant’Alfonso, affermazione dell’amore di Dio. La carestia del 1764 condannò alla morte per fame più di 300.000 persone portando il regno di Napoli a una crisi economica senza precedenti.

Nel febbraio di quell’anno horribilis la situazione ormai era insostenibile: poveri, braccianti, famiglie che non avevano di che mangiare, scendono in piazza alimentando tumulti e sommosse.
Domenica 19 febbraio 1764 il popolo insorge contro il sindaco don Domenico Cervo: 800 persone infuriate e affamate, armate di asce e bastoni, vogliono la morte del sindaco, per loro responsabile della fame. Il poveretto scappò di casa e si rifugiò nell’episcopio dove sant’Alfonso lo fece nascondere nel luogo più sporco del palazzo, che serviva alle comuni necessità, cioè il bagno. Successivamente, fattosi incontro alla folla tumultuante, Alfonso offrì per sedare gli animi accesissimi quel poco di grano e di derrate alimentari rimaste.

Per amore del popolo sant’Alfonso digiunava e in tempo di carestia per comprare grano vendette due anelli preziosi, la croce pettorale d’oro, le ricche posate d’a rg e n t o . Raccomandò con puntigliosità ai preti della diocesi di non essere insensibili nel dare ai poveri il pane.
All’arciprete di Durazzano, don Giuseppe Cervo, il santo raccomandava di essere più liberale con i poveri: «Sono con questa a raccomandare la limosina, perché sento che vostra signoria in ciò con troppa scarsezza, il che non può essere senza scrupolo di coscienza, specialmente in questa penuria che corre. Per grazia di Dio, la sua casa non ha bisogno di essere sovvenuta colle robe della Chiesa. Io sto pieno di debiti; ma non fo difficoltà, in questi tempi così calamitosi, di lasciare di pagare i debiti, anzi penso di farmi un altro debito per soccorrere la povera gente».
Inoltre, per far fronte alla carestia che toccò principalmente i ceti socialmente e culturalmente deboli della diocesi di Sant’Agata de’ Goti (lavoratori, orfani, vedove o zitelle) il vescovo di comune accordo con il capitolo dei canonici e con i rettori e gli economi delle varie cappelle, si obbligò a sostenere la spesa di 3.000 ducati come calmiere del prezzo del pane almeno per sessanta giorni.
Nell’archivio di Stato di Benevento abbiamo di recente rinvenuto alcuni atti notarili nei quali è riportato che il vescovo Alfonso de Liguori aveva acceso mutui per calmierare il prezzo del pane.

Come vescovo e pastore di Sant’Agata de’ Goti, sant’Alfonso è da ricordare per le sue scelte etiche e morali coraggiose e incisive e per le idee innovative al pari del Genovesi.
Nel suo agire vi riscontriamo un forte tratto sociale in vista del bene comune e dello sviluppo integrale dell’uomo e del territorio. Né più né meno il vescovo di Sant’Agata si è sforzato di mettere in pratica i principi fondamentali dell’insegnamento sociale della Chiesa: della dignità della persona, del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà.

Il nome di sant’Alfonso è scritto a caratteri d’oro nella pietà popolare di milioni e milioni di cristiani in tutto il mondo. Le massime eterne, la pratica di amare Gesù Cristo, le canzoncine spirituali (Tu scendi dalle stelle, Gesù mio con dure funi), solo per citare qualche sua opera, hanno contribuito alla formazione spirituale.
Papa Giovanni XXIII scrisse di lui: «Sant’Alfonso, non invecchia mai ! Quale gloria, e quale oggetto di studio e di venerazione per il clero italiano (…). E certo il grande dottore e vescovo il cui spirito doveva poi dilatarsi oltre le Alpi (…) aperto, perspicace, pieno di equilibrio e insieme di libertà, di sodezza, di poesia». 

Mario Colavita
Sacerdote docente di Teologia pastorale
all’Istituto teologico abruzzese-molisano di Chieti
L’Osservatore Romano, venerdì 2 agosto 2013, p.7

S. Alfonso, maestro e testimone: ha indicato con chiarezza la pratica della vita buona con gli scritti, con la preghiera ed anche con la sua personale testimonianza di vita, soprattutto nelle emergenze. (quadri di Vittoria Romeo: durante la carestia a S. Agata; benedice il Vesuvio in eruzione).