10. S. Alfonso e il peccato
Alcuni ritengono che S. Alfonso sia ossessionato dal pensiero del peccato e si fanno questo giudizio soltanto leggendo le sue preghiere. Lo stesso autore della vita che io ho tradotto col titolo “Addio Tribunali” osserva: «Molte volte nelle prediche, nei libri S. Alfonso porterà ad esempio Bianca di Castiglia, madre di S. Luigi re di Francia, la quale preferiva vedere suo figlio morto piuttosto che commettere il peccato. ‑ È una frase terribile. Certamente l’animo di Alfonso restò ipersensibilizzato in tema di peccato. Qualcuno dirà che egli esagerò nella paura del peccato e che forse la colpa è da attribuire all’educazione materna. Quanto è facile. da posizioni nelle quali poco o niente duole la perdita di Dio, accusare un santo di essere esagerato ed eccessivo».
Una acuta sensibilità verso il peccato
Questa ci sembra già la risposta all’obiezione, al dubbio, alla difficoltà che sorge in chi legge S. Alfonso senza conoscere bene un po’ tutta la sua mentalità: « Quanto è facile, da posizioni nelle quali niente duole la perdita di Dio» condannare uno che sente questo come il dramma profondo dell’uomo.
In S. Alfonso, che non aveva studiato la psicologia dei testi moderni, ma che era un fine psicologo, si ha l’applicazione della iterazione, una cosa che le nostre televisioni sfruttano continuamente nella pubblicità: la ripetizione di un messaggio che, a furia di essere ripetuto, penetra e, penetrando, crea un bisogno, crea una mentalità.
Ecco, S. Alfonso insiste sempre su queste due memorie: da una parte la memoria della Passione, dall’altra la memoria del peccato. Gesù è morto in croce per riparare i peccati e io con i miei peccati l’ho fatto morire in croce.
Allora la memoria della Passione porta in me la dinamica dell’amore di Dio, la dinamica del pentimento dei peccati.
La memoria del peccato porta la conversione, al pensiero di quello che Gesù ha fatto per me; a che punto è arrivato il suo amore da affrontare tutto questo, perché io non muoia in peccato, io che merito l’inferno ecc.
Voglio leggere dalla Pratica di amar Gesù Cristo, che è il capolavoro di S. Alfonso tra le opere spirituali, alcune preghiere che ci portano proprio a comprendere quello che sto dicendo. «O amore divino, o ingratitudine umana ‑ ecco i due estremi ‑ o uomini, uomini, guardate l’Agnello di Dio innocente, che agonizza su quella croce e muore per voi, a fin di pagare alla divina giustizia i vostri peccati e così tirarvi al suo amore. Mirate come nello stesso tempo sta pregando l’eterno Padre che ci perdoni. Miratelo ed amatelo. Gesù mio, quanti son pochi che ti amano! Misero me: anche io per tanti anni sono vissuto dimentico di te e perciò ti ho tanto offeso».
La mancanza di memoria della Passione del Signore porta a peccare. «Caro mio Redentore, non tanto mi fa piangere la pena che mi son meritata, quanto l’amore che hai avuto per me. O dolori di Gesù, o ignominia di Gesù, o piaghe di Gesù, o morte di Gesù, o amore di Gesù, fissatevi nel mio cuore e resti ivi per sempre la vostra dolce memoria a ferirmi continuamente ed infiammarmi di amore».
Ecco, la memoria della Passione del Signore non è qualcosa che ci sconvolge, nel senso di farci cadere nel pessimismo, ma è una dolce memoria, perché ci conforta e ci conduce alla conversione, ad avere fiducia nel Signore che ha fatto tutto questo per il nostro amore. Pertanto S. Alfonso continua a pregare: «non permettere che ti lasci e ti perda mai più, rendimi tutto tuo per i meriti della tua morte. In questa io fermamente confido». E poi, come sempre, si raccomanda alla fiducia nell’intercessione della Madonna.
Un’altra preghiera sempre nella Pratica: «Gesù mio, dammi l’ambizione di darti gusto e fammi scordare di tutte le creature e anche di me stesso. Che mi serve essere amato da tutto il mondo, se non sono amato da te, unico amore dell’anima mia? Gesù mio, tu sei venuto in questa terra per guadagnarti i nostri cuori. Se io non so darti il mio cuore, prendilo tu e riempilo del tuo amore, e non permettere che io mi separi mai da te. Per il passato ti ho voltato le spalle ma ora, vedendo il male che ho fatto, me ne dispiace con tutto il cuore e non ho pena che più mi affligge che la memoria di tante offese che ti ho fatte. Mi consola il sapere che sei bontà infinita, che non disdegni di amare un peccatore che ti ama. Amato mio Redentore, o dolce amore dell’anima mia, per il passato ti ho disprezzato, ma ora ti amo più di me stesso».
E allora la preghiera di continuare ad essere tutto del Signore, il desiderio di convertirsi e di perseverare. «Eccomi, voglio essere tuo e voglio soffrire quanto vuoi tu che per amor mio sei morto di dolore su una croce. Mi vuoi santo, puoi farmi santo, in te confido».
Se non si tiene presente questa dinamica e non si tiene presente anche il senso profondo che aveva S. Alfonso dell’amore di Dio, e quindi dell’offesa al Signore anche piccola, non si comprende che è questo senso profondo, delicato, di amore verso il Signore che lo porta anche ad avere continuamente un senso così acuto del peccato e delle pene meritate.
I mezzi per non cadere in peccato
Tra i mezzi che ci devono aiutare a non peccare, siccome siamo anche continuamente tentati, S. Alfonso mette il più grande, il più importante che è la preghiera, perché le tentazioni sono effetto del peccato. «Fra tutti i rimedi contro le tentazioni il più efficace e necessario, il rimedio dei rimedi è pregare Dio di aiutarci e continuare a pregare finché la tentazione persiste. Spesso il Signore avrà destinato la vittoria non alla prima preghiera, alla seconda, alla terza, alla sesta. Insomma bisogna persuaderci che dal pregare dipende tutto il nostro bene; dal pregare dipende cambiare vita, dal pregare dipende vincere la tentazione, dal pregare dipende ottenere l’amore divino, la perfezione, la perseveranza e la salvezza eterna».
Quindi la nostra situazione è precaria, siamo continuamente esposti alle tentazioni. La meditazione del Signore ci richiama il suo amore, il suo perdono; la memoria della Passione ci richiamala redenzione abbondante; la memoria del peccato ci richiamala nostra debolezza, ma anche la fiducia nella Passione del Signore, nel perdono del Signore. « A qualcuno ‑ dice S. Alfonso ‑ che avrà letto le mie opere spirituali, mi sarò forse reso tedioso col raccomandare troppo spesso l’importanza e la necessità di ricorrere a Dio continuamente con la preghiera. Ma a me pare di averne detto non troppo, ma molto poco. lo so che tutti giorno e notte siamo combattuti dalle tentazioni e che il demonio non lascia occasione per farci cadere. So che noi, senza l’amore divino, non abbiamo forza di resistere agli assalti dei demoni, che perciò l’Apostolo ci esorta a rivestirci dell’armatura di Dio» (cfr. Ef 6,11‑18).
La prima armatura è la preghiera, l’invocazione del Signore. Dunque S. Alfonso sa, lo dice, lo scrive che la tentazione insidia anche i santi. Perfino le colonne della Chiesa sono cadute. «Certamente giovano molto alla vita spirituale le prediche, le meditazioni, le comunioni, le mortificazioni, ma se quando vengono le tentazioni non ci raccomandiamo a Dio, noi cadremo con tutte le prediche, con tutta la penitenza, con tutte le comunioni, con tutti i buoni propositi fatti. Dunque, se vogliamo salvarci, preghiamo sempre e raccomandiamoci al nostro Redentore Gesù Cristo specialmente mentre siamo tentati». Perciò, anche coloro che sembrano santi, che vivono nella virtù, essendo esposti alle tentazioni, se dimenticano la preghiera e la vigilanza possono peccare. Anche Tertulliano divenne eretico, ed era una colonna della Chiesa».
S. Alfonso e San Gerardo
Sto insistendo su questo argomento perché vorrei descrivere la figura di S. Gerardo, questo grande santo redentorista, che non era sacerdote, ma laico. È un santo con un carattere particolare; taumaturgo (gli sfuggivano i miracoli, dice uno scrittore, «come gli uccelli da una gabbia aperta»). Era un santo straordinario già in vita. Come fratello laico andava in giro per aiutare le case ‑ allora c’era una grande miseria ‑ a raccogliere le offerte; faceva la questua, perché si potessero mantenere gli esercizianti e anche gli studenti che si trovavano in una casa molto povera in Puglia. Egli era di Muro Lucano in provincia di Potenza.
Questo santo faceva anche da direttore spirituale delle suore col permesso del vescovo ed era perciò invidiato ad intra e ad extra. Siccome si occupava molto delle vocazioni, mandava molte ragazze a farsi monache, le seguiva, le sceglieva, trovava la dote per loro.
Questo lo espose a incomprensioni. Era molto libero nel trattare, non aveva certi complessi, e non aveva malizia. Parlava tranquillamente, anche da solo, con le figliole delle signore delle case in cui si trovava ospite. Da una ragazza che lui aveva fatto entrare in convento ma che poi se ne andò, fu accusato di aver peccato contro il sesto comandamento, mettendo incinta una fanciulla. Questa calunnia, firmata con giuramento dal confessore di questa ragazza e da lei stessa, arrivò a S. Alfonso che la giudicò cosa inconcepibile. Chi si macchiava di una colpa simile meritava l’espulsione assoluta dalla Congregazione. A S. Alfonso sorsero dei dubbi, quando sentì altre voci a favore di Gerardo, della sua santità, e allora mandò un padre prudente ed esperto a indagare. Questi riportò voci discordi: chi diceva bene, chi aveva i dubbi sul comportamento di questo frate, di fra Gerardo.
Perciò lo chiamò presso di sé a Pagani, dove lui si trovava, e lo rimproverò, chiedendogli spiegazioni. S. Gerardo taceva, come Gesù davanti a Ponzio Pilato. Non una parola di scusa, niente. Questo silenzio turbò S. Alfonso, che gli dette una penitenza terribile: lo mandò in un’altra casa e dette ordine di non fargli fare la comunione e di metterlo in isolamento. Non l’isolamento, ma la mancanza dell’Eucaristia fu una cosa terribile per S. Gerardo.
I biografi di S. Alfonso si chiedono come mai S. Alfonso si sia comportato così duramente con S. Gerardo, lo abbia sottoposto per sei mesi a questa prova così forte scrivendo al superiore di non dargli assolutamente spazio ma di tenerlo sotto rigido controllo.
Alcuni pensano che non lo abbia capito, altri dicono che è stata la Provvidenza a permetterlo, per far risplendere la virtù di Gerardo.
Certamente S. Alfonso si sarà comportato con lui come scrive, sempre nella Pratica di amar Gesù Cristo, riguardo al modo di comportarsi dei superiori con i confratelli: con dolcezza, con carità, con amore. «Nel riprendere i difetti, il superiore deve essere benigno. Altro è riprendere con fortezza, altro è riprendere con asprezza. Bisogna talvolta riprendere con fortezza quando il difetto è grave [e quello di Gerardo era un difetto gravissimo, un’accusa sottoscritta da un sacerdote e da una testimone] e specialmente quando s’è ripetuto».
Gerardo sopportò questa prova con estrema dignità e con amore, continuando nella sua virtù finché la ragazza, che non trovava più pace per quello che aveva fatto e voleva bene a S. Gerardo nonostante fosse stata l’invidia a farle dire il falso perché le altre ragazze del paese erano rimaste in convento, si pentì. Ebbe rimorso e lei e il confessore scrissero la smentita. S. Alfonso richiamò S. Gerardo presso di sé e gli disse: «Perché non ti sei scusato, non mi hai chiarito quello che era successo?». E lui, con molta sincerità, e in tutta tranquillità rispose: «Perché la Regola, che voi, Padre, avete scritto, proibisce di scusarsi quando si è ripresi da un superiore».
Allora S. Alfonso avrà pensato certamente a quello che poi scrisse: «Persuadiamoci che in questa valle di lacrime non può aversi pace di cuore se non da chi tollera ed abbraccia con amore i patimenti per dar gusto a Dio». E ancora: «che gusto dà a Dio chi con umiltà e pazienza abbraccia le croci che Dio gli manda!». E S. Gerardo abbracciò quella croce non solo con umiltà, pazienza e amore, ma con gioia.
Una volta, incontrando S. Alfonso, gli disse: «Padre mio, quanto ti amo, quanto ti voglio bene!».
S. Alfonso, a mio parere, è stato così duro in questo caso perché le accuse erano molto gravi, ma ha voluto anche metterlo alla prova con la conferma che quel personaggio che poteva essere così strano, così conturbante, così anomalo, era veramente un santo, perché aveva saputo abbracciare le croci che Dio gli aveva mandato con umiltà, pazienza ed amore. S. Alfonso, quando mori S. Gerardo, volle scriverne la vita, ma non ci riuscì. Forse anche per lui riusciva difficile esprimere la santità del suo figlio, del suo più caro figlio che prima di ogni altro andava verso gli onori degli altari.
da Frosinone 26 settembre 1996, [durante la novena di San Gerardo]
P. Vincenzo Ricci