22. S. Alfonso e il mistero del Natale.
Il Verbo di Dio fatto uomo: mistero centrale di fede [i titoletti sono redazionali]
In opposizione alle correnti di pensiero che negavano o falsavano il mistero di Cristo, Alfonso credette e predicò Gesù come Dio e come uomo, come il Salvatore del mondo, come l’amico dei cuori. Lo pose al centro della sua spiritualità. C’è un testo molto chiaro nella novena del Sacro Cuore scritto che compendia la sua visione cristologica: «Il Verbo eterno è venuto nel mondo per farsi amare da noi. È questo tutto il suo desiderio. Dio Padre ha mandato sulla terra Gesù perché guadagnasse il nostro cuore con il mostrarci quanto egli ci ama. Dio Padre non ci ammette alla felicità eterna se non in quanto la nostra vita è conforme a quella di Gesù Cristo. Ma non acquisteremo mai questa conformità, non ne avremo neppure il desiderio, se non ci applicheremo a considerare l’amore che ci ha portato Gesù Cristo». Qui termina il testo di S. Alfonso.
Dunque Dio ci ama, se noi amiamo Gesù Cristo. Ci perdona, ci usa misericordia, ci salva solo perché ci vede uniti a Gesù e vede Gesù in noi. Senza questa presenza saremmo perduti. Il culto del Verbo Incarnato deve essere al primo posto, in assoluto; tra le devozioni, deve essere il cuore di ogni vita cristiana. S. Alfonso richiama insistentemente i fedeli e i predicatori a questo punto capitale: «Molti si dedicano ‑ scrive Alfonso ‑ ad altre devozioni e trascurano questa. Tanti predicatori e confessori parlano poco dell’amore verso Gesù Cristo, la principale, anzi l’unica devozione dei cristiani».
Per questo il Santo Padre [Giovanni Paolo II] ha assegnato a tutti i cattolici, a tutti i cristiani, a tutti gli uomini la meditazione su Cristo Dio‑uomo, Salvatore del mondo in questo primo anno di preparazione al Giubileo del 2000. «Questa negligenza ‑ dice S. Alfonso ‑ ha delle conseguenze deplorevoli. Perché se le anime fanno pochi progressi nella virtù e continuano a cadere nei difetti, è perché esse si applicano poco e sono poco esortate ad amare Gesù Cristo».
L’amore di Dio nell’Incarnazione
S. Alfonso considera l’amore di Gesù e la sua opera di Salvatore specialmente in tre eventi: l’Incarnazione, la Passione, l’Eucaristia. L’Incarnazione, in particolare, fu costantemente presente nelle riflessioni di S. Alfonso che vi dedicò scritti, meditazioni, preghiere, canti. Predomina in essi la pietà, la fiducia, la tenerezza verso il Verbo Incarnato, verso il Bambino di Betlemme.
Ma a questi sentimenti è sottesa una profonda visione teologica. Gesù Cristo nell’Incarnazione assunse una natura umana singola, ma potenzialmente prese la natura di ogni uomo, di ciascuno di noi, diventando il capo della nuova umanità. È dalla consapevolezza di questo fatto, della sicurezza di essere salvato, che prorompe la gioia di S. Alfonso, la quale si manifesta in preghiere, affetti, canti. Egli descrive le attrattive del bimbo divino, la dottrina che ha dato, le virtù che ha praticato, le grazie che ha portato. Apprende da Lui quella che S. Tommaso d’Aquino chiama «la morale divina», attinge dalla sua culla i più forti motivi di carità.
Come già S. Francesco non poteva abbandonare questi luoghi di innocenza, di umiltà, di purezza, così anche il cuore di Alfonso non sapeva staccarsi dalla santa grotta di Betlemme. Egli si addentra nella meditazione dell’Incarnazione e ne ricerca i motivi: perché Dio si è fatto uomo, Cur Deus homo?, come si chiedeva S. Anselmo d’Aosta.
E ritrova questo motivo anzitutto nell’amore di Dio, amore che gli fa ritenere l’uomo una realtà molto importante a cui egli non può e non vuole rinunziare. Qui sorge lo stupore, esposto con un forte pensiero di S. Tommaso d’Aquino: «Dio ama tanto l’uomo, come se l’uomo fosse suo Dio e come se egli senza l’uomo non potesse essere felice».
L’amore lo spinge a uscire da se stesso, a incarnarsi: Amor extra se rapit, l’amore lo rapisce fuori di sé. S. Alfonso immagina uno scontro tra la giustizia e la misericordia sulla condizione dell’uomo peccatore e sul suo destino eterno di salvezza o di perdizione in cui ciascuna accampa i suoi diritti, ma alla fine vince la misericordia. La misericordia trionfa sul giudizio. In questa luce l’Incarnazione viene attribuita allo Spirito Santo, amore sostanziale del Padre e del Figlio, ed essa fu l’opera dell’amore sconfinato di Dio.
L’amore risalta anche dal fatto che Dio venne a cercare l’uomo quando questo era nemico e fuggiva da lui. Nella creazione Dio fece l’uomo a sua immagine, nell’Incarnazione egli si è fatto a nostra immagine. Miracolo incomprensibile: «Creator ex creatura oritur», il Creatore nasce dalla creatura.
Per compiere questo miracolo, Dio scelse la pienezza del tempo, quando da una parte i peccati avevano colmato la misura e dall’altra le attese degli uomini avevano raggiunto il massimo dell’intensità. E quindi l’uomo era preparato ad accoglierlo.
S. Alfonso risponde qui a una domanda che ogni credente si pone, come se la ponevano i primi cristiani e la rivolgevano insistentemente agli scrittori e agli apologeti, sul tempo dell’Incarnazione. Ecco la risposta di Alfonso semplice e sobria. «Ammiriamo la divina sapienza. Essa differisce la venuta del Redentore per renderla agli uomini più gradita. La differisce affinché si riconosca meglio la malizia del peccato, la necessità del rimedio, la grazia del Salvatore. Se subito dopo il peccato di Adamo fosse venuto Gesù Cristo, poco si sarebbe stimata la grandezza del beneficio. Ringraziamo dunque la bontà di Dio per averci fatto nascere dopo che si è compiuta l’opera della redenzione».
Abbassamento di Dio e innalzamento dell’uomo
L’amore di Dio si manifesta non solo nel fatto dell’Incarnazione, ma anche nel modo che si esprime in una varietà di aspetti, i quali mettono in risalto il contrasto tra l’essere di Dio e l’essere dell’uomo. Scrive S. Alfonso nella Novena di Natale: «Gesù da grande si è fatto piccolo. Ha nascosto la natura divina per non opprimerci con la maestà, per darci fiducia e rendersi accessibile a tutti. Dio da Signore si è fatto servo per farci superare la schiavitù del peccato e della legge e conferirci la libertà dei figli di Dio». È sorprendente notare come all’abbassamento di Dio corrisponde l’esaltazione dell’uomo, in un ritmo incessante di dare e ricevere.
E S. Alfonso continua a sviluppare, in questo movimento di discesa e di ascesa, i vari aspetti dell’Incarnazione con una ricchezza di testi attinti alla tradizione che egli approfondisce con la riflessione personale e con viva partecipazione. Scrive: «Gesù da innocente si è fatto reo». Qui risalta l’aspetto redentivo dell’Incarnazione, in quanto egli, attraverso la sofferenza e l’umiliazione ha preso sopra di sé i peccati del mondo. Questa realtà comincia ad attuarsi nella Circoncisione, segno doloroso della partecipazione di Gesù alla condizione umana. Egli ‑ scrive S. Alfonso ‑ è ferito come uomo, mentre si è addossato il peso di soddisfare per i peccatori, e già da Bambino vuol cominciare a soddisfare i delitti degli uomini col patire e spargere sangue».
Dolore e umiliazione
Nello stesso rito della Circoncisione gli viene dato il nome di Gesù, che esprime la realtà del Redentore. «Da beato si è fatto tribolato». E S. Alfonso si applica a descrivere con commozione le sofferenze di Gesù: «Con ragione Isaia chiamò Gesù l’uomo dei dolori, come se d’altro non fosse capace di vivere in questa terra che di stenti e di dolori, dice S. Tommaso d’Aquino che il Redentore non si caricò di semplici dolori, ma assumpsit dolorem in summo (prese il dolore nella massima intensità) viene a dire che volle essere l’uomo che ha maggiormente sofferto in terra. Si, perché quest’uomo nacque per patire. Perciò assume un corpo tutto atto al patire».
Il tema del dolore torna con insistenza nelle meditazioni del Natale, come risulta dai vari titoli delle meditazioni: Gesù uomo dei dolori; Gesù soffrì fin dalla culla; patimenti interiori di Gesù; Gesù mediatore e vittima; il continuo dolore di Gesù.
Proseguendo nella contemplazione di Gesù Bambino, S. Alfonso è colpito dalla sua povertà, l’aspetto che maggiormente lo commuove, forse perché in questo punto si sente più in sintonia con lui: Alfonso, come Gesù, da ricco che era si fece povero, lasciando tutto per seguirlo e sentirsi vicino alla povera gente. Si accorge però che la sua povertà è ben poca cosa nei confronti di quella di Gesù. Con l’Incarnazione, in un certo senso, Dio si è espropriato della sua natura: « Spogliò se stesso per donarsi completamente ». E Alfonso scrive: «Da suo, si è fatto nostro», cosa che suscita profonde riflessioni. « Il maggior pregio di Dio, e, il tutto di Dio è l’essere suo, cioè l’essere da se stesso e di non dipendere da nessuno. Le creature senza Dio perderebbero il loro essere, scomparirebbero nel nulla. Ma Dio che era tutto se stesso, ha voluto nascere per noi e farsi nostro. Da allora ognuno può dire: «Gesù è tutto mio ‑ Mio il suo corpo e il suo sangue; miei i suoi dolori e i suoi meriti; mia la sua vita, mia la sua morte». Di fronte alla donazione suprema di Dio, deve sorgere la nostra riconoscenza e la decisione di donarci totalmente a Lui. È questo il sentimento costante di S. Alfonso, specialmente nella preghiera che fa seguire ad ogni meditazione.
Un altro aspetto è l’umiliazione di Gesù, che da sublime si è fatto umile. Volle nascere umile per rivelare in questo modo la sua maestà ed espiare il peccato dell’uomo che è essenzialmente peccato di orgoglio; per insegnarci con l’esempio quello che poi ci dirà con la voce; per farci innamorare della virtù dell’umiltà. Degna di rilievo l’espressione: «Volle con tale umiltà insegnarci il re dell’universo la sua maestà e potenza».
Questo pensiero, che sembra racchiudere una contraddizione, è stato approfondito da un teologo moderno, Romano Guardini nel libro Il Signore. Ecco come svolge la sua argomentazione «Gesù ha cambiato radicalmente la figura e il concetto di Dio. Quale Dio si fa manifesto in questo Gesù che nacque, visse nell’umiltà e nel nascondimento? Che ebbe un insuccesso così straziante? Si potrebbe rispondere: si manifesta un Dio che ama infinitamente: Ma si può chiedere: perché l’amore si è rivelato in quest’uomo che ha condotto una vita umile, votata all’insuccesso, mentre l’amore si poteva rivelare in altra maniera, per altre vie? «Questa scelta ‑ scrive Romano Guadini ‑ si spiega perché Dio è umile, ed egli manifesta nel suo comportamento ad extra quello che è nella sua natura eterna. La vera umiltà, infatti, è quello che va dall’alto in basso. Si afferma non quando il più piccolo si umilia davanti al più grande, ma quando il più grande si inchina dinanzi al più piccolo».
Contemplare con cuore di bambino
Nelle sue meditazioni, S. Alfonso unisce alle elevazioni teologiche, ai grandi temi riguardanti l’Incarnazione, le semplici riflessioni, gli umili sentimenti quali si addicono al Natale, che è sempre il ricordo e la celebrazione della nascita di un bambino. In un certo senso S. Alfonso si fa bambino per sentirsi vicino a Gesù e capirlo meglio. E qui si riscontra la sua originalità, il suo timbro inconfondibile di mistico napoletano. Preso dal fervore, si sofferma con compiacenza in tutti i momenti dell’infanzia, come appare dai titoli delle sue meditazioni: Gesù in fasce, Gesù prende il latte, Gesù sulla paglia, Gesù che dorme, Gesù che piange, solitudine di Gesù, occupazioni di Gesù Bambino. Ogni gesto, ogni particolare è una specie di mistero, un sacramento. Le fasce sono il simbolo delle funi con cui Gesù sarà un giorno legato; la paglia, la mangiatoia annunciano la sua vita dura, fatta di stenti e di sacrifici; il latte fa pensare al cibo che prenderà da grande e al pane dell’Eucaristia. Il pianto placa il Padre celeste e rivela la sua amarezza per i peccati del mondo e per l’ingratitudine degli uomini.
Espressioni e aspetti che potrebbero suscitare un certo disagio, una reazione negativa in un animo freddo e distaccato. Ma occorre partire dal punto di S. Alfonso e penetrare nella sua anima semplice e innocente, innamorata di Gesù Bambino.
Scrive giustamente un grande studioso di S. Alfonso e mio professore, Giuseppe Cacciatore: «Nelle devozioni di S. Alfonso verso il Bambino di Betlemme vediamo rifiorire lo spirito di Francesco di Assisi, qualche cosa dell’incanto di Jacopone da Todi che odorava le carni verginali di Dio fatto piccolo ‑ qui c’è l’esperienza mistica ‑ e se ne inebriava in quegli inni, che hanno la ruvidezza delle rocce e il fresco della verde Umbria».
Anche S. Alfonso nei momenti di forte emozione, manifesta la sua devozione e la sua pietà con i canti e con le poesie, alcune delle quali molto note come Tu scendi dalle stelle e Quanno nascette Ninno a Bettalemme.
Nel diario di S. Alfonso c’è una poesia veramente suggestiva:
«Bambino mio dolcissimo, tu m’hai rubato il cuore!
Bambino mio dolcissimo, per te ardo d’amore.
Bambino mio innocentissimo, tu già m’hai innamorato
e questo cor durissimo per te è piagato.
Ben mio, ti veggo piangere e per freddo tremare.
Il cor mi sento struggere Né so quello che fare.
Vieni Gesù, nelle mie viscere. Vieni, mio dolce amore.
e se hai voglia di suggere, suggimi questo mio core».
S. Alfonso fa ricorso a tutti i mezzi espressivi per dare sfogo alla piena dei sentimenti di fede e di amore, di pentimento e di grazia, di riconoscenza e di stupore che sorgono in lui e che dovrebbero sorgere in ogni cristiano dinanzi all’evento del Natale, al mistero supremo di un Dio che si fa uomo, perché l’uomo diventi Dio, di un Dio che si fa uomo per salvare tutti gli uomini.
dal Monastero delle Clarisse di Civitacastellana 5 dicembre 1996
P. Giovanni Velocci
NB. – Questa Conversazione è attinta dal proprio libro per l’approfondimento della spiritualità di S. Alfonso. G. Velocci, S. Alfonso de Liquori. Un maestro di vita cristiana, Ed. Paoline 1994.