S. Alfonso. Difensore della povera mensa vescovile

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309. S. Alfonso. Difensore della povera mensa vescovile.

Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)

309. S. Alfonso. Difensore della povera mensa vescovile.

  • L’Arciprete di Durazzano venne richiesto dall’Economo della Mensa delle quindici tomola di grano, che come quarta ab antico spettavano al Vescovo. L’Arciprete disse di non esser tenuto, avendo quel Governatore inibito ai coloni il pagamento delle decime.
    E Alfonso così gli scrisse il 26 Agosto 1773: “Mi meraviglio come V. S. può scordarsi del suo obbligo, avendo dato giuramento di difendere i diritti della sua chiesa. Sarà forse per non spendervi qualche carlino o per sfuggire di pagare la quarta alla Mensa vescovile; ma ella è obbligata, quando non le riesce esiger con le buone, fare, come ha fatto l’Arciprete di Frasso che ha spedite le provvisioni ed esige la decima, perché io in ogni conto voglio mi si paghi la quarta, che mi è dovuta”.
  • Era stato riferito ad Alfonso che l’Eletto di Arienzo aveva impedito che si pagassero ai Parroci le solite decime, con pregiudizio della Mensa. Alfonso il 28 agosto 1773 scrisse subito a quei Parroci, che solleciti si portassero in Napoli e si procurassero le provvisioni nel Sacro Regio Consiglio; e soggiunse: “Se l’Eletto, o altri, impediranno di esigerle, resterà a carico mio farle pagare. Io in coscienza sono tenuto difendere i diritti della Mensa, e sappiano, che quando la pretenzione è giusta, io trovo ascolto alla Corte”.
  • L’Arciprete di Durazzano non aveva voluto né aiutarsi in Napoli, né dare le quindici tomola di grano alla Mensa. Alfonso si vide in obbligo nel 1774 di citarlo in Benevento presso il Metropolitano. Il giudizio restò sospeso, perché intanto egli aveva rinunciato al Vescovado; tuttavia, avendo a cuore il dritto della Mensa, non mancò farne carico al successore Monsignor Rossi, quando giunse in S. Agata, delle ragioni che aveva con lettera del 27 giugno 1779:
    “L’Arciprete ha fatto dichiarare di non esser debitore alla Mensa. Ma appurandosi i fatti, senza dubbio vi è tenuto. Io gli avevo preso le giuste misure nella Curia di Benevento, ma avendo fatto la rinuncia del Vescovado, non ho potuto far valere le ragioni. La somma importa da trenta ducati l’anno, e non vi è ragione lasciarne defraudata la povera Mensa”.

(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 70)  Leggi tutto nell’originale.

“L’Arciprete ha fatto dichiarare di non esser debitore alla Mensa. Ma appurandosi i fatti, senza dubbio vi è tenuto e non vi è ragione lasciarne defraudata la povera Mensa”.