245. S. Alfonso. Con cuore intrepido.
Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)
245. S. Alfonso. Con cuore intrepido.
♦ Lo zelo di Alfonso era tale, che non badava neppure a se stesso: non si curava della vita, se doveva perderla per togliere il peccato.
- Un Gentiluomo primario, sommamente scandaloso, vedendosi ostacolati i suoi passi, si portò tutto fuoco da Monsignore, risentendosi perché non lo lasciava in pace. Alfonso, minacciandolo, gli disse che se non la finiva, ne avrebbe informato il Re. In sentir ciò il Gentiluomo, si alzò dalla sedia come tigre, e caricandolo d’improperi, fece segno di metter mano alle armi. Lo strepito fu tale che vi accorsero i familiari e trovarono Monsignore, che tutto placido, gli stava dicendo: “O mi maltrattate, o mi dite male parole, io debbo fare l’officio mio: non mi son fatto Vescovo per dannarmi: Piacesse a Dio, ed avessi la sorte di morir martire. Pecorella mia, io ti piango, ravvediti, ma sappi, che non ti farò star mai in pace col peccato”.
- Un Gentiluomo avvisò Alfonso di un grave disordine che vi era nel paese. Ma lo fece con il timore delle conseguenze che sarebbero venute. Gli disse Monsignore: “Non temo io che debbo fare il ricorso al Re, e temete voi che in secreto me lo dite”. Ripigliando quello che egli era necessario alla sua casa, gli disse Monsignore: “Dobbiamo temere il giudizio di Dio, che solo è necessario. Solo Dio è necessario nel mondo. Tu tremi, ed io vorrei morir martire”.
La Diocesi di S. Agata era nelle vicinanze di Caserta, e c’erano regie postazioni nei rispettivi luoghi con vari Ufficiali addetti. Anche con questi Alfonso fece mostra del suo zelo.
- Un Ufficiale Oltramontano, dimorando in S. Agata, aveva relazione con una donna maritata, e ne aveva avuto un figlio. Monsignore non mancò di chiamarlo e avvertirlo. L’Ufficiale, seccato per le continuate correzioni, ripeteva: “Che ne vuole da me questo caposecco?” – E venne anche alle minacce, in modo che si temeva della vita di Monsignore. Fatto inteso dal Canonico Testa e da altri dell’indole del militare e delle minacce, Alfonso, investito di coraggio apostolico, disse: “A me non ha che fare. Mi vuol tirare una palla in fronte, eccomi qua son pronto a morire, ma egli deve lasciare il peccato e l’offesa di Dio!”. Continuando lo scandalo, e non potendo più soffrirlo, fattone inteso il Cavalier Negroni, la donna in risposta fu bandita da S. Agata, e l’Ufficiale dovette protestare la sua emenda, umiliato e confuso, ai piedi del Cavaliere e di Monsignore.
(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 58). – Leggi tutto nell’originale.