S. Alfonso. Assistenza eroica agli ammalati

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274. S. Alfonso. Assistenza eroica agli ammalati.

Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)

274. S. Alfonso. Assistenza eroica agli ammalati.

♦ Monsignore Alfonso, vedendo che il male di taluni non era curabile in Diocesi, si adoperava, che, a sue spese, si fossero portati negli Ospedali di Napoli. E non sono pochi questi tali. Tante volte, non avendo come coadiuvarli, facendo capo dagli Amministratori delle Cappelle, cercava per quelli delle elemosine.

  • Madre Raffaella, fondatrice del nuovo Monastero del Redentore in S. Agata, stando egli in Arienzo, gli fece presente il travaglio di un poveretto non curato da Medici ed in serie strettezze. Scrisse Alfonso al Canonico Albanese: “Dite alla madre Raffaella che procuri anch’ella qualche cosa dalle Cappelle, che il di più per mandarlo in Napoli, ce lo metterò io”.
  • La cosa che inculcò ai Parroci più di tutto fu l’assistenza agli infermi, massime se poveri e negletti. E scorgendo in essi svogliatezza, o che li sentisse essere trascurati in somministrar loro i Sacramenti, Alfonso perdeva la sua inalterabile mansuetudine, e con tutto zelo li riprendeva e li minacciava.
  • Quando l’infermità si prolungava, egli voleva che i Confessori e Parroci animassero gli ammalati a frequentar la Comunione. Circa il Viatico: era suo sentimento che si fosse ripetuto secondo le circostanze, e non voleva che l’estrema Unzione si desse quando l’infermo era ridotto all’ultimo, ma quando aveva i sensi e così capire la virtù di un tanto Sacramento.

♦ Se ammirabile parve quest’opera nei primi tempi del suo Vescovado, maggior senso faceva dopo che egli stesso si vide storpio e rovinato.
Questo sembrerebbe incredibile, ma è testimonianza oculare dell’intera Terra di Arienzo. Scrisse da Avigliano il Sacerdote D. Gaetano Mancusi (già redentorista):

“Nel mio ritorno dalla Sicilia, cioè nell’anno 1773, restai sorpreso da certi atti di carità specialmente verso gli ammalati. Monsignore contava settantasette anni, infermo anch’esso e storpio, e pur aggravato dal peso della vecchiaia, soleva girare il Paese e visitare gli ammalati. Vedere un Vecchio convulso, col capo chino, anzi col mento puntellato sul petto, tutto tremante, che per montare e smontare di carrozza, aveva bisogno non solo delle mie braccia, ma di quelle del servitore Alessio, entrar nelle case e visitare i più miserabili, quest’atto mi sorprendeva. Io l’ho sempre stimato un atto eroico, né potevo guardarlo senza attirarmi delle lacrime”.

(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 67)  Leggi tutto nell’originale.

Alfonso contava settantasette anni, infermo anch’esso e storpio, e pur aggravato dal peso della vecchiaia, soleva girare il Paese e visitare gli ammalati: una cosa che faceva venire le lacrime agli occhi.