P. Giovanni Rizzi (1715-1771) – Italia.
P. Giovanni Rizzi (1715-1771)
Da onesti e pii genitori di Zungoli, in Diocesi di Ariano, sortì i suoi natali il 22 Agosto 1715.
Aveva appena un anno quando la morte gli rapì il padre. Affidato indi alle cure di un zio Canonico, si vide ben presto aperta la carriera degli studi; e perché il giovine era dotato di grande ingegno, dopo aver compiuto nella sua patria il corso di Filosofia, fu mandato a Roma, ove dopo pochi anni conseguì la laurea dottorale.
Ritornato in patria e ordinato prete, si occupò per alcuni anni dell’ educazione della gioventù, e poi, cedendo alle istanze di Mons. Giovanni Anzani si recò nel Seminario di Campagna, ove con molto plauso e profitto di quei Seminaristi prima lesse Filosofia, quindi Teologia e poi, in qualità di Rettore, operò a vantaggio di quell’ecclesiastico Convitto un bene pari alle egregie sue qualità ed alla santità di sua vita.
Nel 1750 entrò nella nostra Congregazione, e dopo sei mesi di fervente noviziato, fece la sua professione il 25 Dicembre dello stesso anno. La sua vita fu sempre degna di un figlio della Congregazione. P. Giovanni fu modello di regolare osservanza e missionario instancabile. Si mostrò specialmente mirabile nel pregare gli spirituali esercizi al Clero ed ai Gentiluomini, onde essendosi sparsa da per tutto la fama della sua dottrina ed eloquenza, i Vescovi e le prime città del Regno facevano a gara per avere un così valente predicatore.
Dopo continue fatiche nell’esercizio dell’ apostolico ministero, il Servo di Dio si addormentò nel Signore il 6 Gennaio 1771 nella nostra Casa di S. Angelo a Cupolo, e Iddio non mancò di manifestarne con alcuni prodigi la santità.
Il P. Rizzi era molto scrupoloso, e perciò S. Alfonso gli scriveva così:
«Io ve la dico come la sento avanti a Dio. V.R. non solo è tenuta a confessarsi di questi peccati che (come mi scrive) si ricorda certo e ne giura di non averli mai confessati, ma fa male a confessarseli: onde è tenuta a non confessarsene. E fanno molto male quei confessori che vi sentono. Non occorre che vi assegni le ragioni che son certe presso di me. Basta, così vi dico in coscienza mia ed avanti a Dio. E vi dico: State allegramente, perché io tengo per certa la vostra salute eterna» Novembre 1761
In un’ altra lettera gli dice così:
«In quanto allo spirito di V. R. volesse Dio che tutti stessero nello stato (che chiama miserabilissimo) di V. Riverenza! La miseria ve la fate voi con confessarvi. Se non vi confessate di niente, stareste in pace. E vi assicuro io che state in grazia di Dio, e questi vostri peccati sono apprensioni, timori, tormenti, ma non peccati. State sicuro che Dio vi ama. E vi benedico» .
Nel Maggio, trovandosi a Deliceto, gli scriveva da Pagani S. Alfonso:
«Viene costì il P. Corrado, perché l’ aria di qua non gli fa bene. Prego V. R. di aiutarlo alla conferenza della Morale in alcuni trattati che ha da fare, specialmente de Poenitentia, de Matrimonio e de Censuris, ed anche parte de Contractibus, perché è un giovane abile, ma non ha passata la Morale. Prego V. R. a fargli questa carità» .
Nel luglio poi l’assicura che i timori di lui sono vani scrupoli:
«Sento che state tormentato da scrupoli. Voi patite questo tormento, perché non volete fare quello che tante volte vi ho raccomandato. Di tutte queste vostre tentazioni, consensi, dilettazioni, compiacenze, ecc. che dite, non ve ne confessate affatto, affatto, affatto, in coscienza mia. Io vi assicuro, da parte di Dio, che sono pene, ma non peccati, no, no, no. E ciò che vi dico io, ve lo direbbero non solo i probabilisti, ma tutti i probabilioristi e tuzioristi: ve lo direbbe anche Concino, Sinnicchio, Vendrochio, Faganano. Uno che vi dicesse il contrario avrebbe perduto il cervello. E così quietatevi, quietatevi. Voi state sempre in grazia di Dio, ed in queste suggestioni che patite non lo offendete, no, ma ci meritate; perciò non ve ne confessate e dite Messa, liberamente e sicuramente. Non vedete che, facendo altrimenti stando così inquieto, perdete la divozione, l’ orazione e la pace? Raccomandatemi a Gesù Cristo. Vi benedico specialmente. Viva Gesù, Maria, Giuseppe e Teresa! Fratello Alfonso del SS. Redentore Nella missione del 1758 che S. Alfonso fece a Salerno con 17 Compagni da tutti si desiderava che il P. Rizzi avesse fatto la predica della sera perché con la voce potente e la grande eloquenza avrebbe certamente prodotto una profonda impressione sul popolo. Il P. Rizzi praticò le più eminenti virtù, predicando e confessando, malgrado tutte le sue interne torture. Venti giorni avanti la sua morte, quel Dio, che per purificarlo l’ aveva messo nel crogiuolo delle tribolazioni, gli fece ben vedere che lo amava. Le tenebre disparvero e fino al suo ultimo respiro, l’anima sua, calma e serena, pregustò le gioie del Paradiso, e appena spirato, il popolo, testimone della sua vita eroica, esclamò: «E’ morto il santo, è morto il santo !»
P. Rizzi fuggiva come il diavolo tutte le donne, e si credeva ad ogni momento colpevole delle più gravi colpe. Nonostante la sua scienza e il suo retto criterio, cadde in ansietà disperate. Nelle sue crisi di terrore, egli informava del suo stato S. Alfonso, che lo confortava più che poteva.
Nella vita del P. Tannoia, scritta dall’Arcivescovo De Risio, si legge che al suon della zampogna ed allo stridore delle garrule ciaramelle, il P. Tannoia col P. Rizzi e con un pecoraro di Puglia danzavano sotto grossi pelliccioni avanti la Capanna di Gesù Bambino, imitando il Profeta Davide, che da Re dava col ballo un inno di riconoscenza avanti l’ Arca del Signore.
Essendo Lettore a Deliceto, S. Alfonso scriveva così al suo rettore: «Raccomando al P. D. Giovanni Rizzi, che eserciti gli studenti ad argomentare e far conclusioni, e che circa la grazia li faccia bene stabilire nel sistema del nostro libretto della preghiera»: ed altrove gli raccomanda un’anima strettamente unita a Dio, ma tribolatissima dagli scrupoli: «Animatela specialmente, gli scriveva, a non lasciare la comunione quotidiana che io le ho dato».
Da tutto ciò rilevasi quanto fosse di delicata coscienza e in che stima lo aveva S. Alfonso. P. Rizzi fu anche rettore a Deliceto. Le sue preziose spoglie son depositate nella nostra Chiesetta di S. Angelo a Cupolo. Voglia il Signore glorificarlo con nuovi portenti a gloria sua e del Collegio che lo possiede. Il suo ritratto sta a Ciorani, su cui si legge:
«R.P.D. Joannes Rizzi, sacerdotum decus, pius in Deum, C. SS. R. nobile exemplar in qua tam exactam Religione vitae rationem coluit, humilitate, modestia, abnegationis ipsius singularis fuit animi fervore, concinatoris Ecclesiasticorum praesertim fungebatur officio omni virtute praeditus, cunctis acceprus, dilectus Deo. D. VI Jan. migravit in coelum, A.D. 1771, aet. suae 54, Cong.is vero 20.
(Lett. I- 341, 451; Berth. 455 a 652).
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Profilo tratto da
Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone – vol.1
Pagani, Archivio Provinciale Redentorista
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