16. Redenzione e ingratitudine umana
Ancora prima di farsi uomo, il Verbo vide la durezza di cuore degli uomini che, dopo la sua redenzione, avrebbero disprezzato le grazie da lui diffuse sulla terra; ed espresse i suoi sentimenti per bocca di Davide, dicendo: Quale vantaggio dal mio sangue, mentre discendo nella corruzione? (Sal 29,10 Vg).[1] Queste parole sono intese comunemente così dai santi Padri: mentre discendo a prendere la natura umana corrotta dal peccato. “Padre mio, sembrò dire allora il Verbo divino, io vado a vestirmi di carne umana e poi a spargere il mio sangue per gli uomini, ma quale vantaggio dal mio sangue?
La maggior parte degli uomini non terranno conto del mio sangue e continueranno ad offendermi, come se io non avessi fatto niente per loro amore”. Questa pena fu il calice amaro da cui Gesù pregò l’eterno Padre di liberarlo, dicendo: Passi via da me questo calice (Mt 26,39). Quale calice? Il vedere disprezzato il suo amore. […]
Ora questa era la sofferenza che tormentava Gesù Bambino nel seno di Maria: il vedere fin d’allora da una parte tanta spesa di dolori, di ignominie, di sangue e di una morte crudele e ignominiosa, e dall’altra tanto poco frutto. Il santo Bambino vide fin d’allora quello che dice l’Apostolo: che molti avrebbero calpestato il suo sangue e disprezzato la sua grazia, derivante da esso: Chi avrà calpestato il Figlio di Dio… e avrà disprezzato lo Spirito della grazia (Eb 10,29).
Tuttavia se noi siamo stati tra questi ingrati, non disperiamo. Gesù nascendo venne a offrire la pace agli uomini di buona volontà, come fece cantare dagli angeli: E pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14 Vg). Cambiamo dunque la nostra volontà, pentendoci dei nostri peccati e proponendo di amare questo buon Dio; e troveremo la pace, cioè la divina amicizia.
Preghiera
Amabilissimo Gesù, quanto ti ho fatto patire anch’io nella tua vita! Tu hai sparso il sangue per me con tanto dolore e con tanto amore, e da me sinora che frutto ne hai ricevuto? Disprezzi, dispiaceri e affronti. Ora però, Redentore mio, io non voglio più affliggerti; spero che per l’avvenire la tua passione farà frutto in me, con la tua grazia, che già mi assiste. Tu hai sofferto tanto e sei morto per me perché io ti ami. Ti voglio amare più di ogni altro bene e sono pronto a dare la vita per te.
Eterno Padre, io non avrei il coraggio di comparirti davanti a chiederti il perdono o delle grazie; ma il tuo Figlio mi assicura che tu mi concederai qualsiasi grazia che io ti chieda in nome suo: Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome egli ve la concederà (Gv 16,23).
Io ti offro dunque i meriti di Gesù Cristo, e in nome suo ti chiedo il perdono di tutti i miei peccati e la santa perseveranza fino alla morte. Ti chiedo soprattutto il dono del tuo santo amore, che mi faccia vivere sempre secondo la tua divina volontà. Riguardo alla mia volontà, io sono deciso a preferire la morte, piuttosto che offenderti, e ad amarti con tutto il cuore facendo quanto posso per compiacerti. Ti domando la grazia di riuscire a mettere in pratica il mio proposito.
Madre mia Maria, se tu preghi per me, io sono sicuro. Prega, e non cessare mai di pregare, finché non mi vedrai cambiato e divenuto come mi vuole Dio.
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da Novena del Santo Natale, Avvento, 14.
[1] La versione ufficiale italiana della Bibbia dice: Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba? Questo versetto si riferisce alla morte di Gesù. Sant’Alfonso invece, basandosi sulla Volgata, lo riferisce alla sua incarnazione.