Redentoristi-Mondo-Colombia 2009

Redentoristi di Colombia
2009 – Di fronte ai due Redentoristi assassinati.

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Redentoristi di Colombia
2009 – Di fronte ai due Redentoristi assassinati
di José Rafael Prada Ramírez, C.Ss.R.

La nostra cara e martirizzata Colombia ha uno dei tassi di violenza (omicidi, sequestri, rapine a mano armata, corruzione…) più alti del mondo. Sembra che il Signore, assieme alla meravigliosa biodiversità che ha regalato a questo paese, abbia fatto una “strizzata d’occhio” al demonio del disprezzo della vita affinché avesse più facilità nel suo compito distruttivo.

Non c’è un paese nel mondo con tanti elementi di violenza messi insieme: guerriglia, paramilitari, narcotraffico, corruzione amministrativa, falsi militari, delinquenza comune e indolenza di molti cittadini che già accettano la perdita intenzionale della vita come un fatto più o meno naturale e comune.

Vittime di questa situazione paradossale sono stati i nostri due confratelli missionari redentoristi, Ariel Jiménez e Gabriel Montoya, che, in piena gioventù, sono stati brutalmente assassinati per essere derubati di alcuni milioni di pesos, denaro con il quale si doveva sostenere un internato indigeno di più di 200 bambini nelle profonde savane e foreste del Vichada.

Perché questa situazione in un paese tradizionalmente cattolico come la Colombia? Perché abbiamo molti anni di violenza e ci abituiamo ad essa, dicono alcuni. Perché siamo poveri e bisognosi e di fronte a tanta indigenza la necessità ci costringe ad essere violenti, dicono altri. Perché il mondo capitalista e consumista di oggi ci ha invaso, e dalla sua ubriachezza materialista siamo usciti ebri e senza controlli di fronte ad una mazzetta di biglietti, dicono altri ancora.

Tutti hanno in parte ragione, ma a volte vi è una fonte più profonda che unisce tutte queste correnti sotterranee di violenza e fa sì che la nostra sia del tutto particolare. Mi verrebbe da dire che, mescolando l’intelligenza e l’audacia del colombiano con la sua malizia e il desiderio di progredire a tutti i costi, abbiamo formato una subcultura della violenza nazionale che potremmo esprimerla con questo detto che ripetiamo tanto “il colombiano non si arena”.

Sì bisogna mettere un cero a Dio con le nostre devozioni, preghiere e pellegrinaggi, e uno al diavolo con le nostre bugie, corruzioni e apparenza. L’importante, in questa subcultura, è tenere, apparire, possedere, con qualunque mezzo…. Poi noi confessiamo o paghiamo una promessa al santo a cui siamo devoti o diamo una elemosina o sosteniamo una famiglia povera per nascondere il rimorso.
La voce profetica di alcuni membri della Chiesa, se non di tutti, è fastidiosa e molesta in un quadro sociale come quello che abbiamo dipinto. E bisogna farla assolutamente tacere, così, allegramente, senza riflettere in tutto ciò che si fa, senza misurare le conseguenze… tacere come la coscienza, affinché il possedere ed il dimostrare possano brillare senza rimorsi.

Ma non basta la voce del profeta!
Entusiasmiamoci ad un cambiamento interiore del cuore affinché possiamo amare il tempio di Dio che è ognuno di noi e onoriamo il Dio vivente che è ognuno dei nostri fratelli. Sì, siamo tempio dello Spirito Santo e Figli di Dio, fratelli gli uni degli altri. Questa è la luce di Cristo venuto al mondo. Non preferiamo, come dice il Vangelo di questa quarta domenica di Quaresima, le tenebre alla luce. “Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”.(Gv 3,20-21).

In Colombia diminuiremo gli indici di violenza quando lo Stato prenderà coscienza del suo impegno di servizio ai cittadini e non di interessi particolari, meschini e corrotti. Quando la Chiesa lascerà il suo clericalismo di credersi più intelligente o santa del semplice mortale e si renderà conto che anch’essa è peccatrice e soggetta alla conversione.

Quando nella società civile si rispetteranno le differenze e si costruirà il dialogo come ponte privilegiato di comunicazione e ricerca della verità. Quando nelle famiglie regnerà la convinzione che si vive meglio e più profondamente con la testimonianza e l’esempio che con le grida e i castighi o le attitudini permissive del “lasciar fare”. Quando ognuno di noi si accetterà così com’è con le sue qualità e difetti, con i suoi istinti e tendenze, i suoi ideali ed aspirazioni. Quando varrà di più la bellezza dell’albero o il canto del passero o la purezza dell’aria, con la limpidezza dell’acqua, della costruzione impudica d’immensi centri commerciali, cattedrali del consumismo, dove ci sentiamo protetti dalle guardie e compriamo con gli occhi ciò che non possiamo coi nostri portafogli.

Ma in definitiva, diminuiremo la violenza fratricida quando ci sentiremo figli di uno stesso Padre che fa uscire il sole sui buoni e i cattivi, sopra i giusti e i peccatori (Mt 5,43-45), quindi per Lui, che è amore, ciò che vale al disopra di tutto è l’esistenza dell’essere vivente. “perché Dio non ha inviato suo Figlio al mondo per condannare il mondo ma per salvarlo per mezzo di Lui” (Gv 3,18). Io non voglio condannare né giudicare nessuno, ma voglio amare tutti e ognuno dei miei confratelli. Non è questione di idee, è questione di sentimento.

Che Ariel e Gabriel, uniti a Dio nell’etimologia dei loro nomi, ci aiutino dalla patria del cielo a vivere e a sentirci come fratelli in questa patria della terra. Gabriel missionario, Ariel missionario:
Missionario che offri la vita
senza pensare che te la strapperanno,
come Cristo sei luce, sei fuoco,
che questo mondo in amore cambieranno.
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Colombia 16 marzo 2009 - Due missionari redentoristi, Ariel Jiménez e Gabriel Montoya in piena gioventù sono stati brutalmente assassinati per essere derubati di alcuni milioni di pesos, denaro con il quale si doveva sostenere un internato indigeno di più di 200 bambini nelle profonde savane e foreste del Vichada.