Redentoristi di sempre
2013 – Uomini di speranza e di profezia.
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Redentoristi di sempre
2013 – Uomini di speranza e di profezia
di P. Serafino Fiore
La speranza rinnovata, così importante nel tema del sessennio e nel Messaggio finale del Capitolo Generale, non è un affare interno alla Congregazione. Come papa Francesco ha detto fin dai primi passi del suo pontificato, la missione diventa fonte di frustrazione e di sterile introspezione se non è vissuta con Cristo a favore della gente, se non ci porta a “ungere di speranza” chi ha “niente di niente”.
La speranza rinnovata diventa così una tremenda responsabilità, e ci provoca a rivedere il nostro modo di essere e di operare in questo mondo.
“Diventare segno di speranza per i poveri”: è questa la nostra vocazione. Ma questo sarà possibile solo se abbiamo un tenore di vita realmente povero, conforme a quello della gente che dobbiamo evangelizzare (Cost. 65).
Dalla tradizione Redentorista – C’è un luogo che noi Redentoristi potremmo assumere come simbolo della nostra speranza: è una piccola stanza dove a Ciorani la sera del 21 luglio 1740 sant’Alfonso, insieme ai padri Mazzini, Sportelli, Rossi, Villani e ai fratelli Rendina, Tartaglione, Gaudiello e Curzio emisero il voto di perseveranza.
La Congregazione non era stata ancora approvata dal papa, e il Re di Napoli le rendeva la vita quasi impossibile. A tenere insieme quegli uomini non c’era una Regola, ma solo un “intento” che Alfonso, ancora sotto la tutela di Falcoia, stava cercando di mettere a fuoco. Nessuno offriva a quegli uomini garanzie per sopravvivere. Ognuno di essi era libero di restare o lasciare. Eppure si impegnarono a dare la vita per la redenzione abbondante. A loro bastava sapere che non sarebbe mancato il lavoro, nell’annunciare Gesù Cristo alla gente povera delle campagne.
Non è un caso che una biografia recente del nostro fondatore sia stata chiamata “un santo per i senza speranza”. È la scoperta di chi ha “niente di niente” a sconvolgere i piani di Alfonso e a fargli dire che deve dare la vita a quella gente, “dovesse anche rimanere solo”. Oltre il Capo di Buona Speranza andranno i suoi figli!
Profetica fu la scelta di quegli uomini, anche se non fecero clamore. Il loro era un modo di proclamare, di fronte al Governo del Regno e alla Chiesa, la dignità della persona, di intere popolazioni semplicemente “dimenticate”, lasciate a se stesse. Passare dalla parte degli abbandonati, e proporsi come aiuto per una crescita umana e spirituale, era come un “gridare” di fronte a una politica che rinnega la sua unica ragion d’essere, quella del servizio.
In questa scia di umile e coraggiosa profezia si sono mossi i nostri santi e beati. Alcuni di essi hanno dovuto “indurire il volto”, come dice il testo greco di Lc 9,51 parlando di Gesù che si dirige decisamente verso Gerusalemme. Lo hanno fatto i nostri martiri spagnoli e quelli dell’est europeo, alcuni dei quali anche in mezzo alle sofferenze più atroci.
“Nessun profeta del passato e del presente è morto di morte naturale” , ha detto Leonardo Boff. Forse è questo a farci paura.
Gesù era vicino alla gente, ne condivideva la sofferenza e perciò si indignava. Gesù risultava efficace nel suo annuncio perché incarnava quello che diceva.
Oggi Cristo (attraverso le parole di papa Francesco) ci supplica di entrare nel dolore del mondo, di andare verso tutte le periferie, quelle geografiche ma anche in quelle esistenziali, per cogliere almeno il grido di salvezza che da esse si leva.
Ci chiede anche di fare tutto il possibile perché il nostro modo di vivere come persone e il nostro modo di progettarci come comunità dica qualcosa di diverso, di alternativo a un mondo che i poteri forti di questo mondo vogliono “allineato” e possibilmente rassegnato.
Ci chiede di annunciare con più coraggio e scelte pastorali il suo vangelo ai giovani. Se papa Francesco ha detto a questi: “non lasciatevi rubare la speranza!”, è perché sa quanto i giovani siano esposti al miraggio delle soluzioni facili e ingannevoli. E da parte nostra sappiamo quanto i giovani esigano da noi: in termini di dedizione, ma soprattutto di autenticità.
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