Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
28. Prenditi questa sfogliatella
Prenditi questa sfogliatella
Verso il 1773 vacò in Arienzo un canonicato, la cui provvista spettava al Papa. Parecchi ecclesiastici si fecero avanti per chiedere a Monsignore una commendatizia.
Comparve pure un notaio a sollecitarla per il proprio fratello mansionario, che viveva a Napoli in maniera piuttosto stramba. Si chiamava Francesco Lettieri. Il Santo, benché in antecedenza fosse stato offeso dal signorotto rissoso, si mostrò incline a favorirlo, intendendo di appoggiare presso il dicastero romano ‘non il predetto mansionario, ma il fratello minore che aveva migliori costumi. La preferenza l’indispettì, rendendolo furibondo. Il vescovo ritirò la promessa decidendo di non ingerirsi nella questione.
I pretendenti lavoravano ciascuno per conto proprio per accaparrarsi influenze nell’Urbe. Uscì infine la bolla, che nominava canonico un pio sacerdote anziano, a cui nessuno aveva badato. Tutti restarono a bocca aperta.
Il notaio riputandosi atrocemente burlato piombò come un bolide nell’episcopio e investì con una raffica di vituperi Monsignore quasi immobilizzato per l’artrosi. Senza scomporsi rilevò: “Mi dai questa mortificazione; non me la merito. Ma me la prendo per amor di Gesù Cristo”.
Non si rabbonì l’insolente e rincarò la dose, dando in escandescenze grossolane, trattando il Santo come un bugiardo. “Non ho mai giurato, rispose, ma ora vi giuro che non ho fatto in Roma veruna commendatizia”. Ed era vero: si era astenuto da qualunque intervento, perché la sacra Congregazione agisse con la massima libertà nella scelta.
Né fu questo l’ultimo atto della vicenda. Il gentiluomo voltò villanamente le spalle al suo superiore ecclesiastico con oscure minacce di vendetta.
Compilò un memoriale zeppo di accuse e l’inoltrò al tribunale della reale giurisdizione.
Il delegato Vargas secondo lo stile regalista spedì un avviso, che un notaio curò d’intimare personalmente al vescovo e disse stropicciandosi le mani: “Prenditi questa sfogliatella per ora, ché appresso tengo altra roba per ricrearti”.
Il verdetto gli piombò addosso come una sassata scagliata da un monello. Il Santo, infermo, allungò umilmente la mano e ringraziò il temerario soggiungendo: “Me la prendo per amore di Gesù Cristo”. E quegli come un ossesso gli scaricò un sacco d’improperi.
Allo schiamazzo corsero il p. Caputo, il canonico Barba ed altri, che nauseati dello spettacolo afferrarono per un braccio il gaglioffo, mettendolo fuori.
Poi presero a lagnarsi con Monsignore di non averli avvertiti prima, ed irritati dicevano che non bisognava tollerare simili bravacci. “Via mò, finitela, rispondeva con inalterabile calma, che non è niente: è un poveretto, e tratterò io per quanto posso di raddolcirlo e renderlo consolato”.
Sant’Alfonso chiarì presso il ministero napoletano la situazione smontando le accuse, senza invocare alcuna misura punitiva contro il vile calunniatore.
(Oreste Gregorio in Monsignore si diverte, p. 135-136).
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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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