4 Quaresima, venerdì – Con Gesù umiliato
O Gesù umiliato fino all’annientamento, rendimi partecipe dei tuoi sentimenti (Fil 2, 5 7).
• O Cristo, Figlio di Dio, ti sei messo all’ultimo posto; trattandoti come l’ultimo di tutti gli uomini… dalla nascita alla morte. E così hai voluto essere trattato dai peccatori, dai demoni, dallo Spirito Santo e dall’eterno tuo Padre.
E tutto questo per glorificare il Padre tuo…, per riparare l’offesa fatta al Padre dal nostro orgoglio, per confondere e per distruggere la nostra arroganza, per insegnarci a detestare la vanità e ad amare l’umiltà.
Si può davvero dire che la superbia disonora Dio e che a Dio dispiace sommamente, poiché per riparare tale disonore fu necessario che tu, Figlio di Dio, venissi tanto umiliato! Si può davvero dire che la vanità è cosa mostruosa, giacché per annientarla, tu hai voluto ridurti a un così infimo grado di abbassamento!
Come si deve credere che agli occhi di Dio l’umiltà è un tesoro veramente prezioso e una gemma a lui graditissima, poiché tu, suo Figlio divino, hai voluto essere tanto umiliato per farci amare questa virtù, per stimolarci ad imitarti nella pratica di essa e per meritarci la grazia di compierne le opere.
(S. Giovanni Eudes, Miseria dell’uomo e grandezza del cristiano 11, 16, p 72)
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O dolce Gesù, mi metto ai tuoi piedi, certo come sono che tu sai compiere quello che io non so neppure immaginare.
Io ti voglio servire sin dove tu vuoi, ad ogni costo, con qualunque sacrificio. Niente io so fare; io non so umiliarmi, questo solo io so dire e te lo dico con fermezza: voglio umiliarmi, voglio amare l’umiliazione, la noncuranza da parte del mio prossimo, riguardo alla mia persona; mi getto ad occhi chiusi, con una certa voluttà, in quel diluvio di disprezzi, di patimenti, di abbiezioni in cui ti piacerà collocarmi.
Sento una ripugnanza nel dirtelo, uno strappo al cuore, ma te lo prometto; voglio patire, voglio essere disprezzato per te. Non so che cosa farò, anzi non credo a me stesso, ma io non desisto dal volerlo con tutta l’energia dell’animo mio: pati, pati et contegni pro te».
(Giovanni XXIII, Il giornale dell’anima 1903, p 180).
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da “Intimità divina”
Roma 1992