Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
45. Se povero e nudo entrò in Diocesi, nudo e povero anche ne uscì…
Se povero e nudo entrò in Diocesi, nudo e povero anche ne uscì…
La mattina del 27 luglio, mentre il suo palazzo e perfino la sua camera venivano saccheggiati, per devozione, di quanto gli era appartenuto, Alfonso salì in carrozza insieme a Villani, circondato da tutto il popolo in lacrime: clero, notabili e povera gente. Benedisse tutti commosso e partì, portando con sé quale unica ricchezza il saccone e la poltrona di malato.
Così il Tannoia ricorda i particolari: “Se povero e nudo entrò in Diocesi, nudo e povero anche ne uscì. Quello, tra l’altro, che fe’ piangere gli astanti, fu il vedersi richiesti dal venerando Vecchio, come per limosina, il suo misero strapuntino su cui dormiva di notte, e la sedia ove di giorno ne gemeva”.
Canonici, sacerdoti e gentiluomini si sentirono in dovere di accompagnarlo, ma egli li supplicò di non farlo e a Cancello rimandò gli ostinali dicendo: “ La vostra presenza non fa che accrescere la mia pena ”. A mezzogiorno si fermò per la messa e il pranzo nel seminario di Nola e un cieco, Michele Menichino Brancia, venuto a chiedergli la benedizione, ottenne con questa la vista.
L’accoglienza festosa in Nocera dei Pagani.
Continua il Tannoia: “Come fu in carozza, ripigliò subito col P. Villani la recita del S. Rosario… Giunto in Nocera, Monsignor Sanfelice, che altamente lo stimava, volle, che da tutte le Chiese ricevuto si fosse col festoso suono delle campane. Grande fu l’allegrezza de’ Paganesi, vedendolo di nuovo tra di loro. Piangevasi per tenerezza, vedendosi verificata la promessa, che tredici anni addietro, partendo per S. Agata, aveva lor fatta di voler venire a morire tra di loro”.
“Gloria Patri… questa croce qui è divenuta leggiera! ”, furono le prime parole del Santo; quindi, prostratosi dinanzi al SS. Sacramento: “ Dio mio vi ringrazio, perché mi avete tolto da sopra un sì gran peso. Gesù Cristo mio, non ne potevo più! ”.
Queste parole ascoltate dai più vicini, si perdettero nel giubilo del Te Deum intonato dalla comunità.
Con lui da S. Agata erano venuti il fratello redentorista Francesco Romito, che continuerà il suo ufficio di lettore, segretario, infermiere e gestore, e il fedele Alessio Pollio.
Quest’ultimo, vedovo dal 1770 a 28 anni e con due bambine (poi diventate una redentorista e l’altra sposa) si farà fratello redentorista, restando sempre il commesso, il cocchiere, il “ cameriere ” insostituibile, affezionato e di fiducia del grande infermo.
Romito sarà sempre più l’altra stampella di monsignore. Impossibile farsi un’idea precisa del lavoro che si abbatteva sul segretario di quel “ mostro ” di lavoro che nessuna fatica riusciva a fermare.
Don Felice Verzella, il segretario che nel 1772 aveva dovuto rinunziare al suo incarico per motivi di salute, fa sapere che uomini di dottrina si erano rivolti a Mons. de Liguori per pareri teologici o morali: dalla Sicilia, da Mantova, Lucca, Venezia, Roma e i suoi Stati, Bologna, Ferrara, ecc.; altri gli chiedevano consigli spirituali o gli esponevano un problema di coscienza. Tra i corrispondenti abituali, segnalati dal Verzella, si contavano 10 principi, di cui 3 appartenenti al Consiglio di Stato, 17 vescovi, 13 cardinali; preti, religiosi, monache, baroni di tutte le province del Regno; gente umile, come quel caporale di Camerino al quale il vescovo sembrava più attento che a chiunque altro…
(estratto dalle biografie del Tannoia e dal Rey-Memet).
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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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