Discorso di Paolo VI ai Redentoristi – 6 ottobre 1973
La stima e l’affetto del Papa per i Missionari di S. Alfonso.
Discorso di Paolo VI ai Redentoristi – 6 ottobre 1973.
Il discorso è stato rivolto in Vaticano, ai Delegati al XVIII Capitolo Generale della Congregazione del Santissimo Redentore venerdì 6 ottobre 1973, al termine dei lavori. Il Capitolo elesse il nuovo Superiore Generale nella persona di P. Joseph Pfab che subentrò a P. Tarcisio Amaral.
Dopo il discorso in latino, il Santo Padre ha aggiunto in italiano affettuose espressioni di gratitudine e di ammirazione per l’opera svolta in tanti settori, ma soprattutto nell’esercizio del ministero pastorale e missionario e nella direzione delle anime attraverso la confessione.
Basta il discorso latino?
Quando davvero il cuore è come il Nostro in questo momento, così pieno della presenza di questi carissimi figli e amici e fratelli visitatori, e quando davvero l’animo è compreso della funzione e della vocazione, che voi avete nella Chiesa e nel mondo, noi non possiamo tacere quello che sentiamo in questa occasione.
Non so se tutti capiranno l’italiano; ma questo non importa. Capirete almeno – non è vero? – il gesto della nostra paternità, che vuol dire questo.
- La prima cosa: guardate che abbiamo una grande affezione per la vostra famiglia religiosa, un grande rispetto, una grande fiducia.
- Sappiatevi amati dalla Chiesa, e amati specialmente da questa Sede Apostolica, che noi abbiamo in questo momento il grande onore, non meritato ma reale, di rappresentare.
- Sappiatevi davvero uniti. Ci è stato detto molto bene a vostro nome: “Noi dobbiamo, fedeli alla nostra tradizione, sentirci solidali con la Chiesa di Roma, con la cattedra di San Pietro”. Ebbene, guardate che questo è reciproco, che cioè la Cattedra di San Pietro, la Chiesa di Roma, è unita a voi, vi vuol bene, vi stima e vi ringrazia.
Ecco un’altra cosa che non possiamo tacere; è l’espressione della nostra riconoscenza per l’opera che voi svolgete nella Chiesa di Dio; anzitutto nella cura delle anime, che è la vostra vocazione primaria, da Sant’Alfonso in poi. Questa vicinanza col popolo cercate davvero di perfezionarla; se vogliamo salvare il mondo, dovremo insegnare, dovremo dare esempi, dovremo pregare, ma dovremo anche unirci in mezzo al popolo, dovremo stare vicini quanto si può, anche personalmente, alle classi che adesso sono le più – quasi – diffidenti della vita religiosa, le più numerose e sono anche le più potenti, perché hanno in mano, ormai con le democrazie moderne, il governo della vita dei popoli. Stare in mezzo al popolo, avvicinare più che si può la gente.
Vi siamo poi grati perché avete uno dei grandi, dei più grandi mezzi che sono a disposizione della Chiesa, del ministero della Chiesa, e che raccomanderemmo tanto: la direzione spirituale.
Siate, come S. Alfonso, dei bravi confessori. Ne abbiamo tanto bisogno. Dicevamo proprio ieri, parlando con un altro ecclesiastico, dell’andamento della Chiesa e della scarsità che si avverte di vocazioni religiose, e ne ricercavamo la causa. Ora, la causa è che non c’è più il colloquio confessionale, non c’è più la direzione di spirito.
Una candela, dicevamo, non si accende da sé. Occorre che un altro cero accenda il cero che gli sta vicino, che comunichi la propria vocazione, la propria ebbrezza di essere chiamato a servire il Signore, ad un’altra giovane vita inesperta e suscettibile di questa chiamata. Potete davvero moltiplicare le forze della Chiesa e consolarla in una delle sue più gravi necessità, sedendo con pazienza e con sapienza sconfinata, quale è proprio dei Padri Redentoristi, nel confessionale per l’esercizio del Sacramento della penitenza e della direzione spirituale.
E poi, abbiamo un’altra espressione da dirvi, un grazie grande, grande come il mondo, cioè grande fino ai confini dove arrivano le vostre missioni. Noi vediamo spesso: qui c’è un Redentorista vescovo, qui c’è un prefetto apostolico, qui c’è un vicario, qui c’è una missione tenuta dai vostri confratelli. Io vorrei in questo momento mandare un grande, affettuoso saluto a tutti i vostri confratelli missionari, e, se ne avete voi l’occasione, dite pure: “Il Papa mi ha incaricato di salutarti e di benedirti”.
E infine, carissimi, voi avete una qualifica che vi definisce, vi specializza, nella Chiesa di Dio. Siete continuatori della scuola di morale, di etica religiosa, di teologia morale, della quale il fondatore S. Alfonso Maria de Liguori vi ha lasciato dei magnifici volumi e con l’eredità di dire: “Continuate!”.
Specializzatevi davvero in questo settore della scienza ecclesiastica, della teologia morale; cercate di essere davvero autori e studiosi qualificati e molto seri. Voi sapete la crisi che sta passando la teologia morale nella Chiesa, e cioè quella del relativismo, della sua possibilità di cambiare: siccome cambiano i costumi degli uomini e cambia la società e cambiano le teorie che governano il mondo, così anche questa legge di Dio, di cui noi dobbiamo essere interpreti, questo rapporto fra Dio e l’uomo, e fra gli uomini tra loro, che sono codificati ed espressi nella teologia morale, possono essere soggetti ad esami critici anche radicali, specialmente su alcuni punti dove l’osservanza della legge di Dio e della conferma della Chiesa diventa ardua e difficile.
Siate dei bravi moralisti, vi raccomandiamo tanto. La legge di Dio non si cambia. Non dobbiamo essere facili a mettere in discussione ciò che da Dio ci viene, né l’interpretazione che poi la Chiesa ne fa con tutta la cautela, con tutta la sapienza; dobbiamo dire “così ha detto”… “così vuole” il Signore. Abbiate grande fiducia in questo magistero, che ci guida tutti, perché siamo tutti alunni, siamo tutti studenti, siamo tutti discepoli della Cattedra di Cristo che è il nostro maestro.
E quando si è affermato il principio, quando la legge è stabilita ed è chiara nella sua esigenza e nella sua potenza di farsi osservare e di curvarsi sopra i bisogni degli uomini, allora diventate pastori. E cioè, trovate la maniera di renderla comprensibile – teologia del linguaggio. Guardate di essere moderni, – teologia del tempo. Guardate di essere comprensivi della società in cui viviamo, – direi, teologia del popolo. E sono tutte, cioè riflessioni della pastorale; l’essere pastori riempie di amore la scienza che abbiamo. E l’amore ha tante risorse, per rendersi convincente, da una parte, e per rendersi facile nell’esecuzione, dall’altra.
Siate bravi pastori. Come vi dicevamo prima, avvicinate le anime nel ministero, specialmente della confessione, e ritroverete quanta indulgenza sia necessaria, quanta –direi – elasticità la stessa legge di Dio può assumere proprio per adattarsi alle debolezze e alle necessità delle umane vicende. Coraggio. Prendete davvero la vostra vocazione, come abbiamo detto nel nostro piccolo discorso, molto, molto sul serio. È una grazia immensa e unica, che il Signore vi ha fatto, di essere associati a questa donazione religiosa della vostra vita al servizio di Dio e anche al servizio del prossimo, del popolo, del nostro tempo.
Date grande importanza a questa vostra elezione. Essa non è una vicenda come un’altra, una sorte come un’altra: è un segreto che riposa sulla vostra vita e che fa di voi davvero dei ministri della sapienza del Vangelo e della grazia che Cristo ha dato in eredità alla Sua Chiesa.
E sappiate che io condividerò questi vostri sentimenti, come fratello e come padre, e come incaricato di “confirmare fratres meos”, cercherò sempre di confermare voi, figli di Sant’Alfonso Maria de Liguori. E per dare il segno di questa mia affezione, di questa mia fedeltà, vi prometto di celebrare una Santa. Messa proprio per la Vostra Congregazione.
Adesso vi do la benedizione. E poi verrò in mezzo a voi per una fotografia di ricordo.
(dal Bollettino della Provincia Romana C.SS.R., 1973, pp. 315-318.)
______________
______________