8 – Il Servo di Dio Paolo Cafaro
di P. Claudio Benedetti, 1903 – traduzione di P. Antonio Panariello, 1998.
Le date ufficiali
dal Catalogus Sodalium.
- Nascita = 05-lug-1707
- Morte = 13-ago-1753
- Professione Temporanea = 09-nov-1742
- Professione Perpetua = 09-nov-1743
- Sacerdote = 22-set-1731
Il profilo (le date sono state conformate a quelle ufficiali)
Il servo di Dio Paolo Cafaro, nato a Cava dei Tirreni il 5 Luglio del 1707, per testimonianza di S. Alfonso (come attesta S. Alfonso) fu un uomo fermo nelle sue decisioni. Da fanciullo e adolescente, superò i coetanei negli studi letterari, nella serietà dei costumi, nell’abitudine alla preghiera, nella frequenza dei sacramenti, nella pratica di tutte le virtù cristiane.
Accolto tra gli alunni del Seminario, si distinse tra gli alti per diligenza e pietà a tal punto che il loro prefetto ammise più volte di elevarsi a Dio appena lo vedeva. Non ancora iniziato ai sacri ordini, si preparò al ministero apostolico con un entusiasmo che lasciava intuire quello che sarebbe riuscito in seguito. Spesso, infatti, spinto dal suo zelo apostolico, era solito andare per i luoghi vicini per catechizzare i fanciulli ed esortare i giovani alla buona condotta.
Ordinato sacerdote, si diede da fare sempre con intensità per raggiungere la sua maggiore perfezione e per ottenere la salvezza del prossimo. E bisogna dire con grande zelo tenne presente il consiglio di S. Agostino: “Visitate, giovani; visitate, vecchi, le tombe dei vostri padri”; ogni giorno, infatti, aveva l’abitudine di entrare in un cimitero e di intrattenersi pensando ai giorni antichi e meditando sull’eternità.
Chi potrebbe dire quanta considerazione e generale benevolenza si procurò, quando, per ordine del Vescovo di Cava, si dedicò alla cura delle anime nella parrocchia di S. Pietro alla Siepe? Vi diffuse molti esercizi di pietà: sul far dell’alba, di giorno e di notte, era pronto ad amministrare i sacramenti, a porgere aiuti, con il suo denaro permise a delle ragazze di sposarsi, pur di non cadere, per difficoltà familiari, nella prostituzione. In breve, mostrò zelo così grande per la carità e si consacrò alla salvezza di tutti che il Pastore della diocesi, ammirandolo, proruppe in queste memorabili parole “Egli, un secondo Paolo, può essere giustamente chiamato sollecitudine per tutte le Chiese”.
Ma doveva dare ancora di più. Infatti, poiché S. Alfonso in quel periodo aveva fondato il suo istituto religioso, più tardi chiamato del SS. Redentore, Paolo Cafaro, chiamato da Dio, chiese di esservi accolto. Il Santo Dottore glielo accordò con gioia ed egli, terminato il noviziato tra ferventi atti di pietà e faticose mansioni ministeriali, fu chiamato prima ad emettere i voti e poi a partecipare alle sacre missioni.
Da quel momento non si concesse riposo. Passava da una città all’altra, da un villaggio all’altro per evangelizzare, lì rimuoveva scandali, qui sedava discordie, passava ore intere nel confessionale; più volte al giorno saliva sul pulpito, dovunque riportava i cattivi sulla buona strada, confermava i buoni nel bene. Campani, Irpini, Pugliesi, Lucani e altri popoli del regno di Napoli lo videro stupiti compire queste azioni salutari.
Nondimeno, egli desiderava opere più grandi. Spinto da vivo zelo a diffondere la gloria di Dio e a cercare la salvezza del prossimo, giurò di organizzare missioni per i popoli infedeli, se i superiori glielo permettevano. E nonostante il loro diniego, non rinunciò al proposito. E non c’è da stupirsi: S. Alfonso teneva in considerazione così alta questo confratello che riteneva una perdita gravissima per l’istituto l’essere privato del suo aiuto: e infatti gli affidò il governo di diverse case, il disbrigo di importanti affari, la guida della sua stessa coscienza e pianse amaramente la sua morte, avvenuta nel Collegio di Caposele il 13 agosto del 1752.
Spiccava per l’innocenza del cuore; mortificava la sua carne; contemplava le realtà celesti, sempre uguale nella buona e nella cattiva sorte.
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