ME LA SPASSO NELL’IMMENSITÀ DEL MIO CARO DIO
6. Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi – Gv 13, 34
San Gerardo comprese per tempo l’essenza della morale evangelica che consiste nella carità verso il prossimo, e si impegnò ad attuarla ad ogni costo, a qualunque prezzo. Tra i suoi pensieri o ricordi di vita spirituale ce n’è uno che rivela chiaramente il suo programma: “Sempre scuserò il mio prossimo e in lui considererò la stessa persona di Gesù Cristo”. Questa presa di coscienza di vedere in ogni uomo Gesù stesso animò Gerardo in maniera sempre più intensa lungo tutta la vita e si aprì in vari aspetti.
Fin da fanciullo egli si fece attento all’esistenza degli altri e si adoperò per venire incontro ai loro bisogni e necessità. In questo spirito cominciò a dividere il suo magro pane con i ragazzi più poveri e sprovvisti di lui; rivelatore di tale altruismo è un fatto straordinario, narrato dai suoi biografi: una volta egli ricevette un pane misterioso dal bambino Gesù in una chiesa poco distante dal suo paese, Muro Lucano, e, stretto dalla fame, voleva divorarlo; ma subito pensò: “E la mamma? e le sorelle?” e lo spezzò insieme a loro. Divenuto adolescente, Gerardo cominciò a lavorare nella bottega di un sarto, e divideva il misero stipendio in tre mucchietti, che assegnava rispettivamente ai poveri, alle anime del purgatorio per la celebrazione delle messe, alla mamma e a se stesso. Siamo in clima squisitamente evangelico, che ci ricorda l’obolo della vedova, che strappò l’ammirazione di Gesù.
Gerardo, quando si fece redentorista, allargò il suo interessamento e la sua premura alle regioni della Puglia, dell’Irpinia e della Lucania, le cui popolazioni, sfruttate e oppresse da pochi ricchi proprietari, erano soggette a un’estrema povertà. Nel suo piccolo e secondo le sue possibilità, cercò di alleviare le strettezze della gente; divenuto frate cercatore prendeva dai ricchi e dai più abbienti per dare ai poveri, ai diseredati; sempre nella linea di questo programma, trasformò la casa dei Redentoristi di Deliceto in un’opera di assistenza, in un cantiere della carità, per cui i poveri potevano venire a bussare alla porta del convento e ‘ricevere sempre un pane con cui sfamarsi.
Oltre ai poveri, Gerardo prestò la sua attenzione e la sua opera ai malati; tra i suoi pensieri si può leggere il seguente proposito: “Visiterò più volte al giorno gli infermi“; erano i suoi “amici”. E, sia in convento che fuori nei vari paesi dove si recava per la cerca o per aiuto ai missionari, spesso faceva ricorso al suo potere taumaturgico per guarire i malati.
San Gerardo esercitò la carità anzitutto con l’azione, ma anche con le parole e per mezzo della corrispondenza. A tutti quelli che incontrava mostrava il suo sorriso, che era il riflesso della sua gioia intima; e rivolgeva la sua parola che era un consiglio, una luce, un incoraggiamento, o secondo i casi, un rimprovero, un richiamo, una correzione fraterna. Anche le lettere che scrisse a varie persone sono una prova del suo amore.
Ad una suora, inquieta, tormentata da preoccupazioni e angustie spirituali, rivolge parole di speranza e di conforto, e dice di condividere le sue pene: “Non vi affliggete, perché affliggete anche me“. Quindi la invita a salire da una prospettiva puramente terrena a un livello superiore, in un clima di liberazione e serenità soprannaturale.
In un’altra lettera, diretta a una suora da poco eletta superiora, e incerta sul da farsi, san Gerardo scrive dei consigli improntati alla prudenza e alla carità: la Superiora deve usare imparzialità, avere fiducia e amore materno, e fare in maniera che tutti i suoi pensieri siano rivolti verso le suore: “Devi amare per riflettere amore“.
Possiamo penetrare ancora più addentro nel cuore di Gerardo leggendo i suoi pensieri o propositi di vita spirituale: “Lascerò tutto per aiutare il prossimo” – “Non dirò mai i difetti del prossimo, neppure per ischerzo” – “Quando mi accorgerò dei difetti del prossimo, lo avviserò da solo a solo, a voce bassa, e con tutta carità” – “Non impazienterò mai il prossimo“.
San Gerardo attuò in pienezza la legge evangelica dell’amore, che esige come segno inconfondibile il perdono dei nemici; nella sua vita breve e travagliata, egli andò soggetto a offese e incomprensioni,. ingiustizie e calunnie, ma perdonò sempre generosamente; così quando un giorno venne aggredito e percosso selvaggiamente dal guardiacaccia del duca di Bovino, reagì con la calma più disarmante e con il sorriso; e quando morì il vescovo di Lacedonia, mons. C. Albini, nella cui casa era stato a servizio e dal quale aveva ricevuto maltrattamenti e ingiurie, egli sentì un grande dolore, e mentre gli altri si rallegravano per la morte del terribile vescovo, egli piangendo esclamava: “È morto il mio migliore amico”.
Gerardo andò oltre, e come Gesù, volle prendere su di sé le sofferenze degli altri; così fece quando si trovava a Napoli insieme a un sacerdote redentorista, il padre Margotta, che era in preda ad afflizioni e angosce indicibili; pregò Dio di trasferirle in lui, e venne ascoltato; fu allora che scrisse quelle parole, rivelatrici della sua carità immensa: “Non mi reggeva il cuore di vedere le sofferenze del padre”.
Anche ora che è in cielo, san Gerardo sente amore e comprensione per noi pellegrini sulla terra, e si china dall’ alto per alleviare le nostre pene, lenire i nostri dolori. Intanto con il suo esempio e con le sue parole ci ricorda il comandamento del Signore: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.