ME LA SPASSO NELL’IMMENSITÀ DEL MIO CARO DIO
3. La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena – Gv 15, 11
Se è vero che c’è una sola tristezza, “non essere santo”, è anche vero il contrario, che c’è una sola gioia: “essere santo”.
Gerardo Maiella che s’impose fin da piccolo l’impegno di raggiungere la santità, andò incontro a una continua, crescente esperienza di gioia, che assunse le caratteristiche della sua personalità singolare.
La gioia risalta in tutti gli avvenimenti della sua vita, si manifesta nelle sue parole, si riflette nelle sue lettere, nonostante le prove a cui egli andò soggetto; anzi ogni prova divenne un motivo di gioia più viva, stabilendosi una specie di dialettica tra la sofferenza e la gioia.
Dio è la sorgente, il centro, il termine della gioia; Dio conosciuto nei suoi misteri, Dio incarnato, via, verità, vita, che conduce al Padre con la forza dello Spirito Santo; Dio desiderato dal profondo dell’anima con un anelito così ardente da esprimersi spesso in fatti straordinari, come le estasi, i rapimenti, i voli dello spirito; Dio amato con l’adesione assoluta della volontà, perseguito, raggiunto con la preghiera intensa, ininterrotta.
Conoscenza, desiderio, amore, possesso di Dio, sono vari momenti che si succedono, si richiamano, si rinvigoriscono a vicenda.
Ricco di questa esperienza, Gerardo poteva scrivere in una lettera: “Io non mi sono potuto ancora far capace come un’anima spirituale, consacrata al suo Dio, possa mai ritrovare amarezza su questa terra, col non piacergli in tutto, sempre, la bella volontà di Dio, essendo questa l’unica sostanza delle anime nostre“.
Fare la volontà di Dio è “un immenso tesoro, un paradiso terrestre“, per cui vale la pena disfarsi di tutto, espropriarsi di ogni cosa, superare qualunque resistenza, per arrivare all’indifferenza soprannaturale: “Stiamo dunque indifferentissimi in tutto“.
Quindi la gioia cristiana deriva dalla piena consapevolezza del valore della volontà di Dio e dalla giusta valutazione degli uomini, delle cose, degli avvenimenti: tutto è relativo, niente è assoluto. San Gerardo dà alle cose il posto che meritano, divenendo indifferente all’attività, alla stima, al denaro, al luogo dove vive. Lo potremmo definire “homo ludens” (un uomo che scherza), impegnato a imitare Dio il quale nella Bibbia vien chiamato “colui che scherza sulla terra” (ludens in orbe terrarum).
La vita è per Gerardo un gioco, un gioco serio, impegnativo certamente, ma sempre un gioco; egli ride di se stesso, delle sue pene, ride anche degli altri che non capiscono la sua allegria, e che egli vorrebbe portare al suo stesso livello. Anche i miracoli che opera, li considera un gioco con gli elementi della natura che riesce a dominare con la forza dell’Onnipotente.
In questo clima di perfetta letizia Gerardo un giorno si sente raggiungere dalla voce di Dio che partecipa al suo gioco e gli dice: “Pazzerello che sei!“. E possiamo capire le dichiarazioni di gioia che fa ripetutamente nelle lettere: “Io certamente vivo al sommo consolato”… “Io mi dichiaro contentissimo, perché mi contento di tutto“. Anche tra le pene più lancinanti non perde la sua allegria, e la manifesta con espressioni tipicamente napoletane: “Io me la scialo in Dio”; “Io me la spasso nell’immensità di Dio“.
A volte la gioia diviene “humor“, come si può notare in alcune frasi delle sue lettere; così scrive a una suora: “La voglio accusare a Gesù Cristo affinché la metta carcerata“; e a un’altra: “Rimetto a Dio quanti dispetti mi avete fatto”; e a un’altra raccomanda di non rivelare un segreto minacciandola con queste parole: “Non dica niente in sua casa e con nessuno, altrimenti le faccio seccare la lingua“.
San Gerardo fu sempre immerso nella gioia perché era sempre immerso in Dio, e considerava la terra un luogo di passaggio, dove bisogna vivere come pellegrini, per cui spesso si rivolgeva agli altri con questo saluto: “Ci rivedremo in paradiso“. Concepiva la vita come vigilia dell’eternità, e aspirava all’incontro con Dio, gioioso nella speranza, esultante nell’ attesa