Novena a San Gerardo_2

ME LA SPASSO NELL’IMMENSITÀ DEL MIO CARO DIO
2. Chi non prende la sua croce non è degno di me – Lc  14, 27

Gesù durante la sua vita predisse più volte la passione che avrebbe sofferto a Gerusalemme presentandola come un evento necessario perché voluta dal suo Padre celeste: “Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (Mt 16,21). Egli pose come condizione per essere suo discepolo la sua imitazione nella via della croce: “Se qualcuno vuoi venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).

San Gerardo ascoltò fin da piccolo il discorso duro della croce, ne comprese il valore umano e cristiano, e si impegnò ad attuarlo nella vita con fede e con coraggio. La passione di Gesù nei suoi vari aspetti divenne il suo pensiero dominante, la sua meditazione continua, e su di essa modellò il suo spirito e il suo corpo, i suoi affetti e i suoi sentimenti. Imitare Gesù, lasciarsi crocifiggere con lui fu il suo desiderio, il suo proposito costante; per riprodurre in se stesso i dolori del Signore subì e accettò mortificazioni, penitenze, umiliazioni di ogni genere.

Si può affermare con ragione che la sapienza, o la follia, della croce è stata la caratteristica fondamentale della spiritualità di san Gerardo.
La partecipazione alla passione di Cristo che fu continua, anche se in maniera più o meno intensa, toccò punte acutissime negli ultimi anni della sua vita quando si rivelò con fatti di carattere straordinario e mistico. Risulta da alcune confessioni che Gerardo fece nelle lettere scritte in quel periodo di tempo. Ecco come si esprime rivolgendosi a una monaca del monastero di Ripacandida verso la fine di luglio del 1754, l’anno precedente la sua morte: Vi scrivo da sulla croce… Compatite la mia agonia. Sono tanto acerbi i miei dolori che mi danno spasimi di morte. E quando mi credo di morire, in punto mi ritrovo vivo per essere più afflitto e addolorato. Io non so dirvi altro; non son capace di darvi il mio fiele e veleno per amareggiarvi.
Sono dolori arcani, frutto di una croce misteriosa conficcata in mezzo all’anima; con la croce si accompagnano le trafitture dei chiodi e gli squarci della lancia che, come dice il santo, uccide e non dà morte: Mi trovo in croce in mezzo a patimenti inspiegabili. ‘Per me si perse la lancia per darmi morte. È il mio patibolo. Là obbedisco a ritrovarla, ma solo per prolungare la mia vita nel patire.

Ma più che questi dolori l’anima soffre di trovarsi sola di fronte alla giustizia di Dio: Tutti par che mi hanno abbandonato… Questa è la volontà del mio celeste Redentore, di star inchiodato su questa amara croce. Chino il capo e dico: questa è la volontà del mio caro Dio. Io l’accetto. E ne godo di far quanto lui comanda e dispone.

Come scrive il biografo di san Gerardo, Nicola Ferrante, è un’agonia senza conforto perché consumata nella solitudine, un’agonia senza misura di tempo e di spazio, cioè eterna, come eterna è la giustizia di Dio: Mi credo che le mie pene hanno da essere eterne. Ma non me ne curerei che fossero eterne: basta che io amassi Dio e in tutto ciò dessi gusto a Dio. Questa è la pena mia: che mi credo che io patisca senza Dio. Madre mia, se non mi aiutate son gran guai per me, perché mi vedo tutto abbattuto e in un mare di confusione, quasi vicino alla disperazione. Mi credo che per me non vi è più Dio, e la sua divina misericordia è finita per me, ma solo vi è rimasta la giustizia su di me.

San Gerardo torna con insistenza su gli stessi sentimenti in altre lettere scritte in quel periodo di tempo, segno che la situazione si protrae a lungo: Io sto afflitto e sconsolato per essere tanto cruciato dalla giustizia divina che nulla più. Benedetta sia sempre la sua divina volontà. E quello che mi fa tremare e mi dà maggiore orrore è che temo di non perseverare: Dio non voglia.

A questi dolori interni di Gerardo, si aggiunge lo stato di prostrazione fisica, l’avanzare della malattia, la tisi, che lo fa soffrire terribilmente, per cui scrive: Io sto malissimo! Eppure nonostante l’acutezza delle sofferenze, egli le sopporta con forza e con costanza, le trasfigura con la fede, e, unito a Cristo, le offre a Dio per la salvezza del mondo. In mezzo alle tenebre fitte che lo avvolgono, emerge con la cima della volontà: Fede ci vuole ad amare Dio. Io sono risoluto a vivere e morire impastato di fede. E anche stretto dall’angoscia egli prova una gioia misteriosa, una pace inalterabile: Godo nel soffrire quanto Dio mi manda.

San Gerardo, imitatore eroico di Gesù crocifisso, è per noi un modello, che ci invita a cogliere con fede le croci immancabili della vita e a offrirle a Dio in espiazione dei peccati, per la nostra santificazione, per completare nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 

Mario Barberis - S. Gerardo era picchiato selvaggiamente dal ragazzo-capo della sartoria di Mastro Pannuto a Muro Lucao (Foto Pasquarelli - Raccolta Marrazzo).