ME LA SPASSO NELL’IMMENSITÀ DEL MIO CARO DIO
1. Imparate da me che sono mite e umile di cuore – Mt 11, 29
Impegnato seriamente alla sequela di Cristo che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte” (Fil 2,8), educato alla scuola di sant’Alfonso de Liguori, che aveva assegnato come una delle caratteristiche del vero redentorista “il disprezzo di sé”, san Gerardo comprese il valore dell’umiltà e si applicò ad attuarla con tenacia per tutta la vita.
Il senso di Dio, radicato profondamente in lui, lo confermò in tale comprensione e in tale compito, e lo spinse a scegliere il posto giusto, che era sempre l’ultimo; era convinto che l’uomo è “un nulla che tende al nulla, che si occupa di nulla, che si riempie di nulla”. L’umiltà era una virtù necessaria per lui, in quanto favorito da Dio del carisma del taumaturgo, di compiere cioè miracoli e fatti straordinari, senza di essa sarebbe stato spinto alla vanità e all’autocompiacimento.
Egli aveva una chiara coscienza dei suoi limiti, si reputava un uomo inutile; perciò si propose di vivere nell’ombra e nel nascondimento: “Farò come se non ci fossi in questo mondo”. Questo sentimento profondo di umiltà lo guidò costantemente nei rapporti con Dio, per cui si riteneva indegno di stare alla sua presenza, e si stupiva che Dio lo sopportasse: “Benedetta sia sempre la divina bontà che sopporta tante mie miserie“.
Consapevole della suprema santità di Dio, e della necessità da parte dell’uomo dell’ assoluta purezza per potersi avvicinare a lui, san Gerardo si vedeva colpevole di continue imperfezioni che, al suo occhio limpido, illuminato dalla fede, apparivano enormi e producevano in lui una specie di angoscia.
La coscienza del peccato lo afferrava e lo faceva sentire indegno di vivere a contatto con gli altri: “Vi prego che abbiate pietà dell’ anima mia, mentre non ho più faccia di comparire avanti alle creature“.
A volte era quasi spaventato dalla considerazione dei suoi peccati per cui presentava il suo stato con espressioni esagerate: “Pregate Dio per me, perché io non sono più uomo, ma sono uomo trasformato in bestia, perché mi faccio vincere dalle mie proprie passioni“.
Compreso della sua condizione di peccatore, san Gerardo aveva una preferenza marcata per l’ultimo posto, evitava di mettersi in vista, sceglieva i mestieri più umili, era sempre disponibile alle richieste degli altri. Si sentiva il più povero di tutti, soffriva della stima e delle attenzioni nei suoi confronti, voleva essere assolutamente dimenticato. Chiuso nella sua umiltà, gioiva di essere disprezzato; perciò si propose di non difendersi e di non scusarsi mai: “Mai mi scuserò ancorché io abbia tutta la ragione possibile…”.
“Non risponderò mai a chi mi riprende“. E i suoi propositi li osservava scrupolosamente; ne diede una prova convincente in occasione della calunnia, quando una donna cattiva lo accusò di un gravissimo peccato presso sant’Alfonso; ripreso e punito severamente, san Gerardo rispose con il silenzio e affidò a Dio la sua causa; e Dio premiò l’umiltà del servo fedele facendo risplendere la sua innocenza.
Mentre la gente lo ammirava per la sua santità e lo acclamava per i miracoli che compiva, egli si umiliava sempre di più e si considerava come abbandonato da Dio: “Dio non ascolta le mie preghiere a causa della mia indegnità“.
Sperimentò la sua indegnità in alcuni momenti decisivi, come nel giorno della sua professione religiosa; di fronte al dono immenso di Dio, si fece più forte in lui la coscienza della sua miseria, per cui scrisse in questi termini al fondatore sant’Alfonso: “O Dio, e chi fui e chi sono io, che ardii di consacrarmi a un Dio!“.
Di fronte a un uomo simile, così differente da noi, non ci sorprende che egli abbia considerato la sua vita “come una pazzia”, come un fallimento: “O Dio, che mala fortuna è la mia che faccio passare tanti momenti e ore e giorni inutilmente, cioè senza saperne approfittare. O quanto ci perdo!”.
Ma la vita di san Gerardo fu tutt’ altro che una perdita e un fallimento; essa fu e resta nella Chiesa una testimonianza luminosa della legge fondamentale del Vangelo: la necessità dell’umiltà per essere grandi nel Regno dei cieli.