Note di umanità P. Francesco Saturno

Note di umanità
di P. Francesco Saturno redentorista
1931-2012

Il 21 agosto 2012 moriva P. Francesco Saturno, redentorista. Il manifesto funebre così ne sintetizzava la figura: “Persona socievole, disponibile sempre, è stato missionario secondo il cuore di s. Alfonso nell’apostolato della parola, della preghiera e nell’insegnamento ai giovani aspiranti missionari.
Costantemente uniformato alla volontà di Dio nei lunghi anni d’infermità, ha trascorso gli ultimi giorni nell’attività sacerdotale, nell’assistenza ai confratelli infermi e nella fervente devozione alla Madonna”.

 P. Paolo Saturno, fratello di Padre Francesco, anche lui redentorista, ha raccolto e sistemato in alcuni articoli pubblicati su “Il Saggio” i ricordi del caro Sacerdote redentorista, che sorprendono per la carica di umanità espressi con grande semplicità in poesia, alla quale ha dedicato un brevissimo periodo della sua vita.

Tra le varie poesie ecco quelle che ha composto per alcuni suoi confratelli viventi (poi morti), ai quali esprimeva la sua ammirazione, gratitudine e riconoscenza. Poesia semplice, senza nessuna pretesa artistica, ma garbata, dolce e autentica nei sentimenti.

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1. A Fratello Stefano Avagliano (morto nel 2002)
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Fratello Stefano era un religioso redentorista come san Gerardo: fratello   laico con l’onere dei voti di povertà, castità e obbedienza, ma senza l’onore   del sacerdozio.
Era addetto alle spese della casa. Spesso a lui non occorrevano i soldi per   le compere, perché il buon Fratello, esercitando una perpetua carità verso il   prossimo, veniva beneficiato di doni soprattutto in frutta e verdura.
Era   anche stato missionario in Perù, ed in Madagascar.

La poesia del p. Francesco, nella sua semplicità ed essenzialità, ne delinea simpaticamente la figura.

 

A Fratello Stefano
  con stima ed affetto.

Sei perpetuo moto,
a piedi o sulla moto,
sott’acqua e sotto vento,
entri ed esci dal convento.

 Per le altrui necessità
ti prodighi con generosità,
non fai alcuna obbiezione;
tutto sopporti con abnegazione.

 Non sempre sei compreso;
in silenzio porti il peso;
paziente non rispondi
così tutti ci confondi.

 Come il Figaro del   “Barbiere”
ognun ti prende a suo cocchiere:
Stefano qua, Stefano là;
attendete un po’ per carità.

 Se c’è dimenticanza,
eccoti pronta l’arroganza,
t’appellano “dittatore”,
ignorando il tuo buon cuore.

 La tua croce porti quaggiù,
come la portò per noi Gesù.
Con la corona tra le mani,
rendi i giudizi vani.

 Non opponi resistenza
per una nuova residenza:
peruviani od africani
son pur sempre cristiani.

 Sei esempio di povertà;
sei modello di carità.
Ti conservi il buon Signore:
lo preghiamo con fervore.

 Ti protegga dai malanni;
ti conservi ancor cent’anni.
Quando un dì non sarai più,
scopriranno chi eri tu.

 

2. All’oblato Giovanni Saracino (morto nel 2011).
Leggi il Profilo biografico.

 

Conosciuto come “Giuànne ‘o sacrestano“: un   personaggio molto noto in Pagani soprattutto tra il clero e i fedeli che   frequentavano la basilica.
Era denominato ‘o   sacrestano perché svolgeva l’attività di sacrestano presso la nostra   chiesa.
Venne in giovane età dalla Basilicata con il proposito di seguire le   orme di s. Gerardo, suo conterraneo.
Viveva da oblato. L’oblato è una figura alquanto anomala. Non si è religiosi in quanto   non si professa alcun voto, tanto meno si è sacerdoti.
Il nostro Giovanni viveva in casa con i religiosi professi ed era tenuto   all’obbedienza come questi e alla disciplina comunitaria. Evidentemente   l’impatto con la vita regolare e con qualche superiore dell’epoca non dovette essere felice, per cui, angosciato, meditava il ritorno in famiglia quando   ebbe la buona sorte di imbattersi nell’allora studente Francesco Saturno alla   vigilia della sua ordinazione sacerdotale. Rimase.
È vissuto a lungo e virtuosamente. È morto   qualche anno fa tra la stima e la venerazione comune. Spesso ringraziava l’amico per quella parola che gli aveva cambiato la vita.

 

A Giovanni, un umile omaggio,
ma con affetto e stima.

Eri ancora in giovanile età,
e del mondo sentivi la vanità;
ti tediava il suo frastuono
come il rombo di un tuono.

 Aspiravi a vita più raccolta
tra sacre mura nascosta,
non con voti religiosi,
li reputavi ben gravosi.

 Ma la tua oblazione
fu più che professione.
Nella tua umiltà
c’era ubbidienza e povertà.

 Eri da poco in convento
e ti assalì lo scontento.
Sentivi dei tuoi la nostalgia.
Oh! profonda malinconia.

Mortale prostrazione:
era di satana tentazione.
Come a Cristo nell’orto,
avevi bisogno di conforto,
e come fu per l’agonizzante Gesù,
venne un angelo per te quaggiù.

 Passai a te d’accanto
vidi sul tuo volto il pianto.
in sì amara tristezza
necessitavi di tenerezza.

 Ero raccolto in orazione,
vigilia della mia ordinazione.
Mi volsi con dolce accento;
il tuo cuore ne fu contento.

 Ti trovasti vincitore
sul demonio tentatore;
ritornò il sorriso sull’angelico tuo   viso.

 Dovevi partir presto.
Rispondesti: no, io resto.
E sul volto del superiore
vi si lesse lo stupore.

 Gli impegni non mancar,
ti fecero sodo lavorar.
In casa attento servitore,
nell’orto solerte agricoltore.

 Avesti degli animali la cura,
li accudisti con premura.
Poi fosti promosso … capitano
della Basilica sacrestano.

 Succedevi ad Antoniuccio;
accettasti senza cruccio.
Entrasti in azione
con gran dedizione.

 Ti levi di buonora
non aspetti l’aurora.
Son pronti i parati
già da ieri preparati.

 La chiesa, la sacrestia
profumano di pulizia,
dovunque c’è splendore,
frutto del tuo sudore.

 Non vesti la talare,
e sei pur sempre sull’altare.
Dell’ordine premuroso,
nei conti scrupoloso.

 Eppur non sei perfetto,
anche tu hai un difetto.
Non ti va la cosa storta,
E beh! Cacciala dalla porta.

 Caro Giovanni, ascolta:
Le cose di quaggiù
son fatte in guisa,
che la più dritta
è la torre di Pisa.

 Perciò si guarda e si tace,
per viver in santa pace.

 Guardati dai malanni
che ci danno mille affanni,
Sei davvero indispensabile,
lo sa bene il responsabile.

 Fa tutto per Gesù,
saresti deluso anche tu.
Vivi pur nel nascondimento,
il ciel ti doni un gran contento.

 

 

3. A P. Enrico Marcianonel 60° di sacerdozio
– Leggi il Profilo biografico.

 

P. Enrico Marciano,
vecchio missionario redentorista,
ha speso tutta la vita al servizio delle anime e del suo Istituto
come  professore, superiore di comunità religiose, consultore provinciale,   missionario
e soprattutto testimone di fede durante la malattia.

I versi del pio poeta concludono con   l’augurio del paradiso per i fedeli servitori del Vangelo.

Al carissimo padre Enrico Marciano, con   sincero affetto e stima nel giorno solenne del suo sessantesimo di sacerdozio.

Ardua è l’impresa;
ma non v’ha pretesa.
Non sono un laureato,
e neppure un letterato.

 Lascio ad altri il vanto
di più sublime canto;
fa d’uopo un po’ di poesia
per più santa allegria

 La Musa in Elicona
più non canta o suona,
e lascia a noi mortali
della terra tutti i mali.

 Perciò, padre Marciano
di Cristo veterano
in questo fausto giorno
ci stringiam a te d’intorno.

 Fin dall’eternità
fosti prescelto alla dignità
d’altro Cristo in terra
nella pace e nella guerra.

 Dopo anni di studentato
nella virtù temprato,
nella teologica scienza
trovasti la vera sapienza.

 È   questa la gran dote
di degno sacerdote.
Dopo l’ordinazione
fu tuo campo la missione.

 A   Lettere professore,
a tutti desti amore.
Fu tuo di Gesù il detto:
“venga a me ogni   pargoletto.”

 Poi per città e villaggi
portasti di Cristo il messaggio.
Instancabile predicatore
parlasti con ardore.

 Colla predica o istruzione
attirasti i cuori a conversione.
Il tuo pensiero fisso,
era Gesù crocifisso.

 Come il buon Pastore
non soffristi di languore;
cercasti la pecorella
smarrita nella procella.

 Qual padre amoroso,
fu il perdono generoso.
Con animo sereno,
il reo stringesti al seno.

 Le anime sagrate
furon da te guidate
alle sublimi vette
e si dissero benedette.

 Consultore provinciale,
fosti con lui solidale;
mostrasti la saggezza,
e del cuore la ricchezza.

 Più volte Superiore,
non agisti con rigore.
La tua amabilità
fe’ più lieta la Comunità.

 Di Alfonso vero figlio
profumasti come giglio;
le tue virtù preclari
sono a noi sempre care.

 Eri della vita nel vigore;
ti colpì il mal col suo rigore;
accettasti la sofferenza
come di Dio benevolenza.

 Non ti perdesti d’animo;
fosti di cuor magnanimo,
aggrappato alla sua volontà,
rinsaldasti la tua pietà.

 Con parola o scritto,
dai sollievo al derelitto.
Assorto sei in preghiera
da mane a tarda sera.

 Sei modello di pazienza,
di Cristo vera scienza.
Nel sessantesimo di Messa,
ognor viva è la promessa
di seguire il tuo Gesù
tra le spine di quaggiù.

 Sia ancor lunga la tua vita,
di gioia e di virtù ognor fiorita.
Grazie della tua bontà,
il ciel ti renda beata l’eternità.

 

P. Paolo Saturno

P. Paolo Saturno, sacerdote redentorista e musicologo di chiara fama, esperto di musica alfonsiana, ha conservato le memorie scritte del fratello P. Francesco, e ne ha pubblicato un bel po’ su Il “Saggio”, evidenziando tratti di una bella e sincera umanità.