P. Andrea Morza (1739-1764) – Italia.
Il 1° agosto 1764, appena venticinquenne, moriva a Materdomini di tubercolosi il P. Andrea Morza. Era nato a Caposele il 19 settembre 1739.
Ancora adolescente, entra nella Congregazione del SS. Redentore, attratto dalla fama di virtù che tale Istituto spargeva. Il primo germe di vocazione sacerdotale e liguorina gli sarà sbocciato nell’animo in quel lontano pomeriggio del 22 maggio 1746, allorquando il santo patrizio napoletano Alfonso de Liguori iniziava trionfalmente la sua missione a Caposele.
Dopo il noviziato, il pio giovane passò un settennio nello Studentato di Materdomini, spargendo dappertutto tale un profumo di santità che non si poteva pensare a lui senza pensare a Dio. Sempre raccolto, non aveva a sé dinanzi che la visione del cielo. Per lui la ragione di essere era vivere con Cristo. Martoriava senza posa e fino all’esaurimento il suo corpo per ridurlo in servitù.
Il Signore stesso volle provarlo, come i grandi santi, con la crocifissione interna. Tale calvario, durato anni, e che lo unì più strettamente al Signore, c’è stato dipinto da lui stesso in alcune sue lettere spirituali.
Amava Dio, e per conseguenza il prossimo, specie quello travolto dalle tenebre dell’errore e della idolatria. Suo costante e ardente desiderio era di volare, missionario di Cristo, in mezzo agli infedeli per recare loro la buona novella.
Ma ben altri erano i disegni di Dio: appena ordinato sacerdote, fu trasferito in Sicilia, ove rimase per soli otto mesi, poiché la malferma salute, peggiorando di giorno in giorno, non gli permise di fermarvisi più a lungo.
Tornò a Caposele, terra di riposo e di sogni, tutta un profumo di verde e un gorgheggio di uccelli. Quivi, ben presto, da alcuni gravi sintomi, i Superiori si accorsero che la sua breve giornata, stracarica di meriti, stava per tramontare, e che era già maturo per il cielo.
Attese placidamente l’ora della dipartita e del distacco, intensificando la sua preparazione per la patria immortale. Confortato dai santi Sacramenti, che espressamente richiese, aspettò calmo e sorridente lo sposo dell’anima sua, finché si estinse, dando getti di sangue e dicendo: «Soffro, Signore, ma non è niente! Anche di più, anche di più per voi che avete versato tutto il vostro Sangue per me».
S. Alfonso, come Gesù dinanzi alla tomba dell’amico Lazzaro, fremette di commozione…
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Profilo tratto da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985