Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
44. Mi basterà quel carlino che mi guadagno…
Mi basterà quel carlino che mi guadagno…
Ercole de Liguori non si capacitava circa il ritorno del fratello vescovo alla Casa di Pagani: gli sembrava una stella eclissata, e lo rimproverava di aver declinato l’onore dell’episcopato. Tanto più che esonerato dalla residenza non aveva ricevuto l’assegno di una sede titolare onoraria. Gli piaceva vederlo, benché vecchio ed infermo, col fiocco verde: tutto il parentado n’era illustrato sapendolo in auge.
Probabilmente si affacciava qualche pendenza finanziaria, e questo tasto l’affannava.
S. Alfonso con la consueta schiettezza gli scrisse il 22 luglio 1775: “Sento che vi lamentate della mia rinuncia; ma io non ho rinunciato per andare a spasso, ma perché le infermità m’impediscono di soddisfare il mio obbligo. Io ho esposto i miei mali al Papa, e il Papa ha voluto che io rinunciassi.
Voi forse avete timore che io non abbia da litigare con voi per la mia porzione, giacché, come sento, vi è il dubbio che non mi tocca più la porzione del collegio dei dottori, se non risiedo in Napoli. In Napoli non vi posso stare.
Del resto non abbiate timore, perché io non pretendo alcuna porzione. Spero che il Papa mi assegni la pensione, e spero che la Corte di Napoli mi ci dia l’exequatur; ma se mi nega l’exequatur, ed il collegio la pensione, mi basterà quel carlino che mi guadagno con la messa per comprarmi quel poco di minestra che mi mangio”.
Monsignor Liguori povero entrò in diocesi nell’estate del 1762 e più povero ne uscì verso la fine di luglio del 1775, lasciandola in stato di grazia. Tutto il suo bagaglio consisteva in una sportella di indumenti. I canonici di Arienzo lo convinsero a portare seco il grande Crocifisso regalato gli dal p. Longobardi: lo farà situare nell’oratorio attiguo alla sua cella.
(cf. Oreste Gregorio, Monsignore si diverte, p. 155)
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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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