“Il soverchio è un furto che si fa ai poveri” (S. Alfonso)
“Il soverchio è un furto che si fa ai poveri”.
Il 1° agosto ricorre l’anniversario della morte (1787) del santo del secolo dei lumi: Alfonso Maria de Liguori, missionario, vescovo, dottore della Chiesa e celeste patrono dei confessori e dei moralisti.
Nel 1762 papa Clemente XIII lochiamo alla guida pastorale della diocesi di Sant’Agata dei Goti, il biografo Padre Tannoia cosi scrive: ≪Era Alfonso in età di sessantasei anni. Quando credeva, perche oppresso da mali, esser prossimo alla morte e disporsi per quel passaggio, Iddio, con un tratto di provvidenza,lo richiama a nuova vita e l’investe di un nuovo zelo, per altre opere di sua maggiore gloria≫(Tannoia, III, 1).
Per Alfonso fu un’elezione insperata e indesiderata:mentre altri candidati si ammalarono per non essere stati scelti (e c’erano tanti) il fondatore dei redentorista ebbe bisogno di cure mediche perché obbedì alle richieste del Papa. Scrive il cardinale Luciani,futuro Giovanni Paolo I: ≪I redentoristi giubilarono; Alfonso, invece, restò muto e disfatto≫.
Dopo la consacrazione avvenuta a Roma il 20 giugno 1762 nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva dal cardinale Fernando Rossi, il suo confessore annota: ≪Due grandi sforzi aveva sofferto nella sua vita:uno quando lasciando il mondo,abbracciato si vide strettamente dal Padre: l’altro, quando in Roma fu consacrato vescovo contro sua voglia≫.
Fu un pastore esemplare per virtù e saggezza pastorale. Non fece mancare nulla alla sua diocesi in tesori spirituali e carità pastorale.
All’epoca di sant’Alfonso erano di “moda” i cosiddetti memoriali, vere e proprie raccomandazioni fatte dai poveri per avere qualcosa per vivere. Sant’Alfonso firmava facilmente queste richieste. Nel favorirei poveri sempre e dovunque cosi diceva: ≪Il soverchio e un furto che si fa ai poveri, e non va bene≫ (ibidem, III, 369). Spulciando l’archivio nel palazzo vescovile di Arienzo si sono ritrovati cinque memoriali firmati da sant’Alfonso datati tra gli anni all’ultimo (sant’Alfonso lasciò la diocesi nel 1775) si sia prodigato per le persone bisognose.
Questi memoriali, indirizzati al governatore di una chiesa — nel nostro caso della chiesa dell’Annunziata in Arienzo, annessa al monastero A.G.P. (Ave Gratia Plena)— venivano a loro volta raccomandati dal vescovo, il quale sensibile alla voce dei poveri, accoglieva con animo deferente i memoriali e,convalidati con una calda raccomandazione stesa dal segretario, vi apponeva la propria firma autografa.
Il padre Tannoia a proposito di queste suppliche rileva: ≪Nella folla di tanti memoriali, che per vari motivi capitavano dalla diocesi, se taluno ne ritrovava di qualche povero,dir soleva tutto allegro: Oh questo si che mi piace: e memoriale per limosina≫(III, 356).
Sant’Alfonso poco gradiva, come si legge tra le righe della sua vita,le domande di privilegi come dispense da leggi canoniche o da norme diocesane. Se accordava,molto raramente, qualche facoltà sollecitata da ecclesiastici o borghesi doviziosi, si mostrava in ogni occasione disponibile verso i poveri e senza indugio andava incontro ai medesimi, dando loro ogni prece-denza per impulso della carità pastorale.
Il padre Celestino Berruti, un successore di sant’Alfonso, nel libro Lo spirito di sant’Alfonso ci fa capire le abituali disposizioni interiori del santo, che fu nella nonagenaria esistenza un autentico signore, munifico verso i poveri, per quanto austero con se stesso e con i suoi parenti. Nessuno forse più di lui riconobbe la funzione sociale del denaro:≪La liberalità di questo santo è stata cosi grande da farlo paragonare ai più rinomati eroi della religione, e nei tempi a noi più vicini ad un Tommaso da Villanova, ad un Carlo Borromeo, ad un Francesco di Sales≫ (172-173).
Ciascun memoriale è composto di tre parti: la prima contiene il testo del supplicante rivolto al vescovo;la seconda ha il testo della raccomandazione fatta da sant’Alfonso al governatore; la terza è l’attestato del sacerdote incaricato di consegnare l’elemosina al povero richiedente. Generalmente le persone aiutate da Alfonso chiedevano pochi spiccioli per tirare avanti:due, massimo tre carlini.
Il memoriale ritrovato presenta la situazione di estrema indigenza di una famiglia che ha bisogno di tutto finanche dei vestiti per andare in chiesa: ≪Filomena di questa terra di Arienzo N.N. vi espongono come si morono della fame ed anno tutte li tre una miserabile vesta non possono uscire di casa ed andare alla chiesa, si vedono afflitti l(e) necessitano almeno di docati sei e per farsi le decenti vesti che il caso fa compassione tutto, v. s. ill.ma lo potete ordinare alla Chiesa di A.G.P. per detto sussidio ut Deus. Raccomandiamo li poveri alla pietà del Sig. Governatore della Chiesa A.G.P. per una competente limosina≫.
L’aiuto ai poveri era un dovere etico che spettava principalmente al vescovo come padre di tutti, a maggior ragione padre dei poveri. Il padre Tannoia sottolinea che Alfonso≪Stimava egli i poveri come unica sua porzione spettatagli dal Gran Padre di famiglia≫ (III, 353).
Lo stile di sant’Alfonso, allora, ci fa pensare al nostro Papa Francesco e alla sua predilezione per i poveri. I memoriali, invece, ci fanno pensare alla benefica e silenziosa cura per i poveri dell’Elemosineria apostolica.
Nell’uno e nell’altro caso fuoriesce una Chiesa che (a torto o a ragione) non ha mai abbandonato e dimenticato i poveri.
Mario Colavita
dell’Istituto teologico abruzzese-molisano di Chieti