Antonio M. Losito (1838-1917) – Italia.
Il freddo dicembre 1838, vide nascere a Canosa, nelle Puglie, il P. Antonio M. Losito, degno frutto di genitori piissimi.
Il babbo morì assai presto. La mamma ne circondò la culla di vero affetto cristiano. Quando stringeva al seno l’amato suo bimbo, supplicava intensamente il Signore a formarne un santo.
A 10 anni, il piccolo Antonio perdé anche la madre, l’amorevole sua guida. L’orfanello pianse, e nel pianto, rassegnato ripeteva: Ora che mio padre e mia madre mi hanno lasciato, posso dire con più confidenza: Padre nostro che sei nei cieli.
Più tardi, avvertendo la tristezza del focolare domestico, soleva aggiungere: Mio padre e mia madre mi hanno lasciato, ma il Signore si è preso cura di me.
Dio, in verità, guidava i passi di quest’anima privilegiata. I Padri Redentoristi erano giunti a Canosa per predicarvi la santa Missione. Antonio fu dei più assidui agli esercizi, e non si lasciò sfuggire alcuna occasione per accostarli ed accoglierne i consigli.
I brevi colloqui schiusero l’orizzonte del giovanetto: gli sbocciò nel cuore una irresistibile attrazione per l’Istituto Alfonsiano. Assistito dalla ss. Vergine si decise ad abbracciare gioiosamente la vita apostolica dei Redentoristi.
Entrato nel noviziato di Ciorani, si mise a battere con ardore la strada della perfezione, emulando i più provetti. Il 24 ottobre 1856, professò con slanciò, dedicandosi senza riserva e irrevocabilmente a Dio e alla Congregazione. Né si intiepidì attraverso gli aridi studi filosofici: proseguì, sempre pio, il cammino del quadriennio teologico. Il 5 aprile 1862, ascese al sacerdozio, mentre intorno ferveva la rivoluzione sociale, e la sua famiglia religiosa era dispersa.
A Canosa, ove si ritirò dopo la soppressione, portò le abitudini della cella. I cittadini non tardarono ad accorgersi di possedere un verace servitore di Cristo, bramoso soltanto della divina gloria e della salvezza delle anime. Cominciò così un apostolato nascosto, pregando più che predicando. Le anime sconvolte o abbattute andavano a lui per cercare un conforto celeste alle angustie interiori. Con carità
cortese e paziente partecipava a ciascuno il paradiso che aveva nel cuore, sanando dolori insanabili e dissipando spesse caligini. Il genio missionario di S. Alfonso era con lui.
Dopo la burrasca garibaldina, ricostituitasi la Congregazione, il P. Losito tornò alla quiete del chiostro; ma egli non era cambiato. Riappariva ai Confratelli fervoroso come prima, osservante come prima, affabile e umile come prima.
Le sofferenze, i disagi, i disprezzi non avevano esasperato il suo animo: d’altra parte le lodi, gli applausi di una popolazione entusiasta non l’avevano esaltato, dandogli la penosa illusione di un superuomo. Riprese col suo usuale sorriso le modeste occupazioni, senza pretensioni.
Il suo zelo ora erompeva vegeto, con l’impeto giovanile: non conobbe più riposo. Prima il confessionale, poi la povera cameretta divennero una meta di continuo pellegrinaggio. Chi veniva da Salerno, chi da Napoli: erano prelati e magistrati; peccatori ed anime elette, avidi di consultarlo sui problemi della vita eterna.
Tra questa folla multiforme, che andava sempre ingrossandosi, notavasi l’arrivo, a scadenze fisse, di un borghese, che veniva accolto con fraterno affetto. Era l’incomparabile creatore delle grandiose Opere Pompeiane: don Bartolo Longo.
Lo stesso santo Pontefice, Pio X, volle giovarsi dei consigli del P. Losito.
Ma il servo di Dio esplicò le sue più belle energie nella direzione spirituale della gioventù Redentorista. Nel 1887 fu nominato Prefetto dei chierici Studenti: ininterrottamente, per 21 anni, tenne questo delicato ufficio. Con diligenza ammirabile modellò la rifiorente famiglia liguorina di Napoli sulle orme degli indimenticabili predecessori, che vissero a lato di S. Alfonso.
Quando nel 1909, essendo Superiore Provinciale, pensò ad aprire l’Educandato, egli poteva contare sui suoi discepoli; e, nel 1911, inaugurandolo, vi poneva a capo proprio coloro che erano stati educati alla sua scuola.
Siamo lieti di ricordare questo magnanimo servo di Dio, che la Chiesa non mancherà di collocare, un giorno, sugli altari. Morì a circa 80 anni, il 18 luglio 1917.
S. ALFONSO, anno 1936, pag. 202.
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Profilo tratto da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985
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