Latessa Angelo redentorista

 P. Angelo Latessa  (1686-1754) – Italia.

Il Padre Don Angelo Latessa nacque in Bisaccia, il 27 agosto 1686, da genitori pii ed onesti.
Da bambino si rivelò un angelo; crebbe infatti pio, amante del ritiro, e assai di buonora volle abbracciare lo stato ecclesiastico. E, poiché colla pietà accoppiò sempre grande amore per lo studio, i suoi superiori lo crearono, subito dopo il sacerdozio, Canonico e Rettore del Seminario.

Progredì nella pratica di ogni più ardua virtù. Sapeva pure trovare il tempo per passare lunghe ore in confessionale, e per attendere all’esercizio della carità e della mortificazione, senza trascurare gli altri doveri del suo stato, specialmente della mortificazione.

È fama che Dio si compiacque operare per suo mezzo vari miracoli, e tale fama si è conservata sempre nella nostra Congregazione.
Col passare degli anni crebbe in lui l’amore al ritiro e alla solitudine.

In quei tempi Alfonso M. De Liguori aveva già iniziata una fondazione in Caposele, ed i suoi riempivano i Paesi circostanti delle loro virtù, spargendo dappertutto, specialmente colle sante Missioni, il buon odore di Gesù Cristo.
Al santo canonico parve esser quello il luogo più adatto pel suo spirito sitibondo di Dio, e malgrado i suoi 63 anni di età, si sentì spinto a chiedere di esservi ammesso.
Il Liguori non poteva chiudere le porte del suo Istituto ad un uomo di tanti meriti e di tante virtù: gli aperse le braccia per accoglierlo, malgrado l’età avanzata. «Che venga pure, – esclamò il santo Fondatore – ci sarà più utile con i suoi esempi, che altri con la loro opera».

Il P. Latessa entrò in Congregazione nel maggio del 1751, dicendo a tutti che ciò faceva «per meglio prepararsi a morire santamente ». Professò il 17 settembre 1751. E morì appena tre anni dopo, il 5 ottobre 1754, lasciando il grato ricordo delle sue esimie virtù.

S. GERARDO, anno XII, luglio 1913, pag. 357.

 

P. Angelo Latessa, nativo di Bisaccia (AV) ascese al sacerdozio, rivestendo le cariche di Canonico e Rettore del Seminario. Crebbe nella pratica di ogni più ardua virtù, desiderando ardentemente il più perfetto: perciò volle entrare tra i Redentoristi. (Partcolare della tela di Roma-Merulana - Raccolta Marrazzo).

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Altro Profilo

Era sempre disponibile per la chiesa. e Io non posso uscire in missione e predicare; – soleva ripetere il P. Angelo Latessa – voglio per lo meno confessare quanto posso». Si trovava inappuntabilmente al confessionale fin dall’alba. Tannoia riferisce: «Se in ogni tempo la nostra chiesa in Caposele è accorsata, lo è maggiormente nei giorni festivi, e vedevasi don Angelo tirare a confessare anche passato mezzogiorno».
Nel periodo degli esercizi spirituali per i preti, gli ordinandi e i galantuomini, intervenuti dalle diocesi limitrofe, egli « valeva per mille ».
Era un’anima schietta. Il P. Apice, che fu valente missionario in Sicilia, rivolto al P. Latessa gli disse per celia: « Padre don Angelo, questa volta non mi dite il vero». Ed egli attonito soggiunse: «Come! dacché son nato, non ricordo di aver detto avvertitamente una bugia; e V. R. crede che la dica ora e in questa età?».

Amava intensamente l’Istituto Redentorista, servendolo con abnegazione e slancio. « Non è figlio legittimo della Congregazione chi non è amante della carità». E questa virtù era il motore della sua spiritualità; a contatto con S. Gerardo si emulavano nella contemplazione, gareggiando nelle mortificazioni.

Il 6 giugno del 1754 celebrò la Messa con molta sofferenza. Il dott. Santorelli, accorso, gli domandò dopo la visita: «Gesù Cristo che vi ha detto stamattina?». Ed Egli: «Ci siamo licenziati. Ho detto: questo è l’ultimo sacrificio che prego offrire per me al vostro celeste Padre, perché sull’altare non ci vedremo più».

Le forze precipitavano. S. Alfonso, il 21 settembre, scriveva al P. Cajone che inviava « mille benedizioni » al p. Latessa, raccomandandosi alle sue preghiere. La mattina del 5 ottobre chiamò con urgenza il superiore: «Padre,— sussurrò — è ora di estremarmi per andare a godere Dio, come spero, per i meriti di Gesù Cristo, e prego Vostra Riverenza di volermi assistere ».
Aggravatosi improvvisamente, nelle ore piccole della stessa giornata, si spense come un predestinato. Il P. Cajone si affrettò ad informare sant’Alfonso che era a Pagani: « Padre mio, oggi, verso le ore ventuno ed un quarto, senza alcun segno di agonia, è spirato placidissimamente in mano mia il p. don Angelo. La sua morte ha riempito di consolazione e di allegrezza tutti i circostanti e specialmente tutti noi, che abbiamo invidiata una cosi felice e beata morte».

San Gerardo, che si trovava a Napoli, il 13 ottobre, otto giorni dopo il transito del santo amico, esclamò come rapito: « In punto è andato in paradiso il nostro p. Latessa ». Il p. Caprioli segnò nelle sue « Effemeridi »: « Sabato, 5 ottobre 1754, morì nel collegio di Caposele il p. don A. Latessa, uomo santo ».
Il ven. p. Emanuele Ribera (m. 1874), che nutrì per il p. Latessa venerazione profonda, nel libro dei Propositi annotò: « La sua vita altro non fu che una unione continuata con Dio, e se gli vedeva in volto il suo interno raccoglimento ».

P. Oreste Gregorio
S. GERARDO, anno LXVII, gennaio 1967, pag. 2.

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Profili tratti da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985

P. Angelo Latessa visse pochi anni nell'Istituto redentorista, ma lo amava intensamente, servendolo con abnegazione e slancio. Amato e venerato dai confratelli si addormentò nel Signore tra il rimpianto di tutti.
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