P. Gerardo Lanzetta (1821-1888) – Italia.
P. Gerardo Lanzetta (1821-1888)
Contursi, ch’è di fronte a Materdomini, è la fortunata terra che diede i natali all’illustre e profondo filosofo P. Lanzetta a dì 21 ottobre 1821.
Fece la sua Professione ai 26 maggio 1839; e si ordinò Sacerdote il 21 di settembre del 1834. Destinato a Materdomini qual Lettore di Belle Lettere, dopo essere stato Segretario del P. Vicario Trapanese; ebbe per discepoli gli Studenti: Giuseppe Consenti, che fu poi Vescovo di Nusco e di Lucera, Pepe (alias Carnevale), Mancino, Sepe, Vittoli…
Nel 1887 era Lettore di Filosofia nel nostro Collegio di Avellino.
Monsignor Scognamiglio di Maratea, venuto a Materdomini l’8 luglio 1912, mi disse che P. Lanzetta era dotto ed edificante, buon letterato, miglior filosofo, bravissimo religioso, uomo ameno e di molta pietà e valente in Sacra Eloquenza. Teneva la faccia di un Santo.
Ebbe per discepolo P. Alessandro Basile che fu poi Vescovo di Cassano sul Jonio. Fu Rettore del Seminario di Rotonda a tempo di Monsignor Basile.
Andando a predicare a Vibonati alle nostre Monache Redentoriste, che ora non vi sono più, viaggiò per mare da Maratea, perché non vi era allora altra strada, con i Sacerdoti Gennari D. Casimiro, che fu poi Cardinale, e Scognamiglio D. Vincenzo, su citato, poi Protonotaro e Arciprete di Maratea Questi raccontò loro che egli stando a predicare a Conversano, ove era Vescovo il P. Silvestris, ebbe una visione:
“Nel dormire avvertì parecchie volte scosse forti del letto; e fattosi coraggio, prese in mano il Crocifisso e scongiurò: «Se sei anima buona, dimmi in nome del Signore chi sei e che desideri ché ti aiuterò; se sei anima cattiva ti comando di andartene. Ed ebbe per risposta: «Io sono un’anima del Purgatorio, che vengo a chiedervi una Messa, e così me ne andrò al Paradiso. Sto da molti anni in Purgatorio; è da molto che vengo qui a piatire senza risultato».
«Se è così, riprese il Padre, dammi un segno». E l’anima rispose: «Il primo segno che il Cameriere del Vescovo non dorme con voi, ma se ne va. Il secondo, che non più si sentiranno in questo luogo i soliti lamenti. Il terzo, che dopo la Messa vedrai per la stanza una specie di colomba, che svolazza, e poi scomparisce per la finestra. E così fu».
Morì P. Lanzetta il 30 ottobre 1888 nel nostro Collegio di Avellino.
Il P. Savastano lasciò scritto così del P. Lanzetta:
«Il primo Padre che lasciasse la spoglia mortale nella nuova dimora (in Avellino) fu il non mai abbastanza rimpianto P. D. Gerardo Lanzetta. Da onesti genitori non molto facoltosi nacque a Contursi in prov. di Salerno, P. Lanzetta. Giovanetto di anni 17 diede il nome al nostro Istituto, e professò nel maggio 1839 il giorno 26.
Nel Noviziato e nello Studentato si fece notare per una mente riflessiva ed applicata per un raccoglimento che non pativa distrazione. Profittò nelle Belle Lettere, non meno che nelle Facoltà Filosofiche e Teologiche. Ordinato Sacerdote nel 1844, il 21 settembre si esercitò indefessamente nel santo ministero.
Nel 1849 fu adibito come particolare Segretario dal Vicario P. Trapanese. Nominato questi Rettore Maggiore, il P. Lanzetta, vedendo le conseguenze dell’insorta contesa, si ritirò dall’ufficio, e glie ne incolse male perché fu mandato in luogo quasi di esilio, a Scifelli, con ordine a quel Superiore di sorvegliarlo come suo contrario.
Passato quel burrascoso periodo in cui ripigliò con più alacrità e costanza del suo spirito il santo ministero; fu destinato Maestro di Belle Lettere e poi di Filosofia nel Collegio di Caposele.
Dopo i rovesci del 1860 fu chiamato ad insegnare Filosofia nel Seminario di Cerreto, che per l’insegnamento era uno dei più fiorenti d’Italia, e raccomandava rispetto al Governo medesimo Italiano, come ai Deputati del Parlamento, sicché Deputati e Ministri ad esso affidavano i loro giovani figli e parenti.
Costretto a ritirarsi per faccende di famiglia, dopo altro poco tempo fu chiamato da Mons. Basile della nostra Congregazione, Vescovo dii Cassano a tenere la Rettoria del Seminario di Rotonda, ma fu il padre, il fratello e l’amico di 130 Alunni.
Morto quel Vescovo (25 giugno 1883) si ritirò nel Collegio di Avellino (22 ottobre 83), ove poté esercitarvi il suo zelo con grande edificazione del pubblico come ne fa speciale menzione P. Amabile.
Ma dopo meno di due anni fu destinato ad insegnare Filosofia prima nel Collegio di Lettere, poi in quello di Angri, e finalmente in Avellino.
Mandò per le stampe Opuscoli ed Articoli diversi. Lasciò inedita una confutazione della Storia d’Italia di Luigi Settembrini per mancanza di mezzi.
Dappertutto si guadagnò rispetto, non solo pel suo sapere, ma ancora per le sue virtù. La sua fraterna carità affidava tutti a ricorrere a lui.
Quando taluno conferiva con lui e domandava consiglio sopra un tema di prediche e di erudizione qualunque ne lo delucidava con una mirabile chiarezza l’argomento e coll’umile tuono del discepolo e non del Maestro.
Lodava tutti, amava tutti, non riamato da tutti. Instancabile nell’applicazione, neppure nella ricreazione sapeva trovare riposo, ma sapeva impiegarla nell’ornare con carte colorate quadretti di Santi, di cui molti compagni ne serbano qualcuno ancora come cara memoria.
Lunghi anni fu travagliato da quella bronchite che lo portò al sepolcro, ma non mai questa potè impedirgli la predicazione nelle Missioni ed in Collegio, e molto meno l’insegnamento.
Era una meraviglia il vedere, che pur essendo obbligato a portare un fazzoletto alla bocca, perché l’aria che non fosse tepida offendeva la gola, non mancava alla predicazione ordinaria delle Missioni, di Quaresimali, e di altri Esercizi di predicazione, nè alle Confessioni in tutto il tempo assegnato.
Essendogli inibita dai Medici l’una e l’altra occupazione, anche quando insegnava o faceva da Rettore in Seminario, a chi lo pregava di abbandonarla, rispondeva addolorato: «Ma allora non farei niente»!
La virtù della Povertà era quella di un Religioso santo. Non solo la sua scarsa biancheria ed i suoi panni erano logori sempre e rappezzati, ma facendo la ricreazione coi suoi discepoli nella sua stanza la sera lasciava un lumicino che appena permetteva vedere dove sedere.
Le sue preghiere ai Superiori Maggiori erano solo che non gli avessero addossato superiorato alcuno; ed i Superiori lo risparmiavano solo per non contristarlo. La sua sempre cagionevole salute gli faceva schivare il temuto peso del Vescovado.
Aveva una particolare devozione al Sacro Cuore di Maria, aveva scritto con disegno d’invitare gl’Italiani, a consacrare la travagliata Italia al Cuore della più pietosa delle madri; morì col desiderio di attuare questo pio disegno.
Una semplice recrudescenza del suo male abituale spense, il 30 ottobre 1888, una vita già consumata in un abituale travaglio troppo non proporzionato alle sue forze.
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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.2 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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