La propria salvezza

2. PROVVEDERE IN TEMPO ALLA PROPRIA SALVEZZA

Il fine della vita quanto viene trascurato! Si pensa ad accumulare ricchezze, si pensa a banchettare, a festeggiare, a darsi alla bella vita: e non si serve Dio, non si attende a salvare l’anima, e il fine eterno lo si considera una bagatella! E così la maggior parte dei cristiani, banchettando, cantando e suonando se ne va all’inferno. Oh se sapessero cosa vuol dire inferno!
O uomo, fai tanto per dannarti, e non vuoi fare nulla per salvarti? Un segretario del re Francesco d’Inghilterra moriva dicendo: “Misero me! Ho consumato tanta carta per scrivere le lettere del mio principe, e non ho speso un foglio per ricordarmi dei miei peccati e fare una buona confessione!” Filippo III, re di Spagna, morendo esclamava: “Oh, fossi stato a servire Dio in un deserto, e non fossi mai stato re!”.

Ma a che servono allora questi sospiri e questi lamenti? Servono solo per disperarsi. Tu impara, a spese degli altri, a vivere sollecito della tua salvezza, se non vuoi cadere nella medesima disperazione. E sappi che tutto quello che fai, dici e pensi, se non piace a Dio, è perduto.
Suvvia, è tempo di cambiare vita. Che cosa aspetti, per disingannarti? Vuoi aspettare il momento della morte, quando sarai sulla porta dell’eternità, sulle fauci dell’inferno? Quando non ci sarà più tempo per rimediare l’errore?

Dio mio, perdonami. Io ti amo sopra ogni cosa. Mi pento, più di ogni altro male, di averti offeso.
Maria, speranza mia, prega Gesù per me. (da Massime Eterne, I, 3)