17. MEDITARE SULLA PASSIONE E MORTE DI GESÙ
I. Il nostro Redentore […] ha acceso vive fiamme di carità in tante anime specialmente con le sofferenze che ha voluto patire nella sua morte per dimostrarci l’amore immenso che ci porta.
Nelle piaghe di Gesù, come in fornaci d’amore, tanti cuori felici si sono talmente infiammati d’amore per lui, che non hanno rifiutato di consacrargli i beni, la vita e tutto se stessi, e hanno superato con grande coraggio tutte le difficoltà che incontravano nell’osservanza della legge divina, per amore di quel Signore che, pur essendo Dio, volle tanto soffrire per amore loro.
Perciò l’Apostolo, per darci coraggio e per farci correre speditamente nella via del cielo, ci dà questo consiglio: Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo (Eb 12,3). […]
Dalle sofferenze di Gesù crocifisso i santi hanno attinto il coraggio e la forza di soffrire i tormenti, il martirio e la morte. San Giuseppe da Leonessa, cappuccino, dovendo subire un operazione chirurgica, prima che il chirurgo l’operasse, gli assistenti volevano legarlo con delle corde. Ma egli, stringendo il Crocifisso tra le mani, disse: “Non ho bisogno di essere legato. La mia corda è questo mio Signore, inchiodato per amor mio. Egli con i suoi dolori mi stringe a sopportare ogni pena per amore suo!”. In tal modo soffrì l’amputazione senza lamentarsi; come pecora muta di fronte ai suoi tosatori non aprì la sua bocca (Is 53,7), come Gesù.
Chi mai potrà dire di soffrire a torto, se guarda Gesù che è schiacciato per le nostre iniquità? (Is 53,7). Com’è possibile rifiutare di obbedire a causa di qualche incomodo, dopo che Gesù si è fatto obbediente fino alla morte? (Fil 2,8). Come potrà rifiutare le ignominie chi vede Gesù trattato da pazzo, da re di burla, da ribaldo, schiaffeggiato, sputato in faccia e appeso a un patibolo infame?
II. Quando si contempla Gesù che muore fra tanti dolori e disprezzi per cattivarsi il nostro amore, non si può amare altro che lui. Un eremita pregava Dio di insegnargli che cosa potesse fare per amarlo perfettamente. Il Signore gli rivelò che il modo migliore per giungere al suo perfetto amore era quello di meditare spesso la sua passione. […]
San Bonaventura insegna che, per crescere nelle virtù e nella grazia, si deve meditare continuamente la passione del Signore, perché nulla, più di essa, è in grado di condurre alla santità: “Nessun’altra cosa opera la santificazione dell’anima quanto la meditazione sulla passione di Cristo”. […]
Il nostro Salvatore vuole che noi pensiamo a quanto egli ha sofferto e, pensandovi, non è possibile non infiammarsi d’amore per lui. L’amore di Cristo ci spinge (2Cor 5,14), dice san Paolo. Gesù è amato da pochi, perché pochi sono quelli che considerano le sofferenze da lui sopportate per noi. Chi invece le considera spesso, non può vivere senza amare Gesù, ma si sentirà talmente toccato dal suo amore, che non gli sarà possibile resistere a non amare un Dio così innamorato, che tanto ha sofferto per farsi amare. (da Amore delle Anime, Frutti…, 1-7)