P. Gioacchino Jacovino (1874-1954) – Italia.
Il giorno 8 ottobre, alle ore 9 antimeridiane, nel nostro Collegio di S. Alfonso e S. Antonio a Tarsia placidamente spirava il nostro amatissimo P. Gioacchino Jacovino.
Un’altra grande anima, a cui tutta la Provincia era legata da affetto e da riconoscenza; un altro venerando Padre, di cui tutta la Provincia era santamente fiera ha lasciato la terra ed è volato al cielo.
Era come un ricordo vivente e parlante di tutta la nostra santa tradizione di vita religiosa veramente degna per l’esemplarità delle virtù, per l’eminenza della dottrina, per lo zelo apostolico spiegato particolarmente tra le anime sacerdotali e religiose.
Il rispetto, la stima e la venerazione di cui è stato sempre circondato da parte di Vescovi, Prelati, Sacerdoti, Religiosi e laici di ogni ceto, la fiducia che ispirava a quanti lo avvicinavano, l’affetto filiale e confidente con cui ricorrevamo a Lui, tanti di noi, per essere illuminati, consigliati, guidati, confortati, tutto questo ci fa sentire come sia incolmabile e quanto sia grave la perdita del caro Padre che tanto onorava il nostro Istituto, che soprattutto tanto ci amava.
Le infermità, di cui il Padre ha sofferto per lunga parte di sua vita, in questi ultimi anni si erano aggravate; sopraggiunse poi il blocco cardiaco che rese la sua esistenza quanto mai precaria. Fu perciò dispensato dall’intervenire ad alcuni atti comuni e gli fu imposto di levarsi al mattino ad ora più conveniente alle sue condizioni di salute; ma egli si adattava con pena a queste eccezioni, desiderando di seguire in tutto la vita comune. Chi non ricorda con edificazione quelle sue genuflessioni tanto esatte e per lui tanto penose?
Colto da collasso cardiaco non faceva che recitare giaculatorie; volle sempre stringere il S. Rosario tra le mani: la sera del 29 settembre, dopo una tremenda giornata di agonia, si rammaricava perché non era riuscito a recitare nemmeno un’Ave Maria! Era tanto grato per le premure che gli si prodigavano e non cessava di ringraziare.
P. Ambrogio Freda
Superiore Provinciale
______________
Profilo tratto da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985
____________
Altro Profilo
Dopo appena due mesi dalla morte del desideratissimo P. Michele Mazzei, a cui fu affezzionatissimo e che ebbe per discepolo nelle cose spirituali, nel giorno 8 ottobre dedicato a S. Reparata, di cui ebbe la traslazione del corpo dalla cattedrale nella nostra chiesa di Teano, essendo ivi rettore, rendeva piamente lo spirito a Dio, il P. Gioacchino Jacovino, di 80 anni. Correva l’anno 1954; ed era di residenza a Tarsia.
Dio aveva permesso che il P. Mazzei e il P. Jacovino fossero appartenuti alla stessa comunità che poté osservare, nonostante le loro gravi infermità, la loro carità, la pazienza, la regolare osservanza, il raccoglimento dell’animo e il desiderio del cielo, di cui spesso parlavano tra di loro, così preparandosi alla visione beatifica di Dio e alla contemplazione della gloria della beatissima Vergine Maria, del N. Fondatore S. Alfonso e degli altri confratelli morti piamente in Congregazione.
Nato a Montagano, il giorno 11 febbraio 1874, da una famiglia ricca di virtù cristiane, a quindici anni di età si ascrisse alla nostra Congregazione. Attirò l’ammirazione di tutti per la sua inclinazione alle scienze filosofiche e teologiche. Fatto appena sacerdote, accettò l’insegnamento nel nostro Studentato che, per gravi infermità, e per gli incarichi a lui affidati dai superiori, suo malgrado abbandonò.
Per sei anni diresse l’educandato napoletano orientato in nuova e stabile forma, e riprese ancora la cattedra di filosofia e teologia.
Per tutta la vita ebbe sempre tra le mani la Somma di S. Tommaso e le opere di Aristotele. Si astenne però dallo scrivere opere scientifiche. Per le sue predicazioni si servì solo di schemi da lui elaborati.
Fu rettore per 39 anni, a Teano, a S. Andrea Jonio, a S. Angelo a Cupolo, a Ciorani, a Pagani, a Napoli, custode assiduo della regolare osservanza, ma pieno di carità verso gli altri.
Fu Consultore Provinciale per 9 anni, e fu pieno di benemerenza per tutta la Provincia; contribuì a dare più degna forma alla Basilica di Pagani arricchita di preziosi marmi e pitture. Intervenne una volta al Capitolo Generale (1936).
Quantunque abbia partecipato solo all’una o l’altra missione, può ritenersi un vero missionario. Fu instancabile predicatore di Esercizi Spirituali a Sacerdoti e Religiosi e Monache. Fu specialmente, fino alla morte, un insigne direttore di spirito, per cui non pochi vescovi si dirigevano da lui. Come S. E. Gregorio Grasso, aciv. di Salerno; S. E. Bartolomeo Mangino, vescovo di Caserta; e inoltre Prelati e Superiori religiosi, come il Rev.mo P. Paolo Manna delle Missioni Estere; e lo stesso Em.mo Card. Alessio Ascalesi si dirigeva da lui.
Tutta questa mirabile attività egli la esplicò tra gravi infermità: da giovane fu affetto da tisi polmonare, e per molti anni da tisi tracheale. Prima di morire fu colpito da arteriosclerosi e debolezza cardiaca, per cui più volte fu vicino a morire.
Dispensato dagli atti comuni, ed esortato a levarsi più tardi, si servì mal volentieri di queste concessioni, desiderando di vivere sempre nella vita comune.
Non potendo stare all’impiedi per artrosi ai ginocchi, ottenne la facoltà di celebrare la messa stando seduto ma, per riverenza al SS. Sacrificio, non se ne servì mai. Viveva unito a Dio con frequenti preghiere, giaculatorie, recita del Rosario; non potendo celebrare la messa, volle ogni giorno ricevere la S. Comunione.
Nella notte del 29 ottobre sembrò che stesse per morire per attacchi cardiaci; ma all’indomani si riprese. Ricevé la S. Comunione; rinnovò con somma gioia i voti religiosi, alla presenza del Rev.mo P. Rettore Maggiore di passaggio per Napoli. Chiese perdono di eventuali cattivi esempi.
Nelle ultime ore, il P. Provinciale gli chiese di benedire sé stesso e la Provincia e, in maniera particolare, i giovani a lui sempre graditi, ricordandosi di tutti ai piedi della Beatissima Vergine. E il buon Padre, come gli antichi Patriarchi, promise e benedisse.
Ricevuti gli ultimi Sacramenti, circondato dai Confratelli e, stringendo il Rosario, il caro P. Jacovino raggiunse il cielo, come speriamo, dopo di aver tanto onorato e amato il nostro Istituto.
Nel discorso funebre il P. Domenico Farfaglia, Prefetto degli Studenti e Consultore Provinciale, presenti numerosi fedeli nella nostra chiesa di Napoli, ebbe a dire: « Il più alto elogio del defunto Padre è la sua vita di luce e di amore: vivo elogio siete voi, diletti Confratelli, che gli siete stati vicini o siete venuti di lontano; anche voi con me, sacerdoti e Prelati, alunni del santuario, Monache e Suore delle varie famiglie religiose; e voi, o anime nascoste nella umiltà di qualunque grado sociale; e tutti coloro che sapientemente e amorosamente il defunto Padre guidò per la via della perfezione colle parole e colle lettere ».
Aveva professato il 5 aprile 1890; era sacerdote dal 7 marzo 1897.
P. Giulio Sisto c. ss. r.
Analecta C. SS. R., anno 1955, p. 47.
Altro Profilo
Da più giorni andavo pensando che cosa avessi più ammirato nel P. Gioacchino Jacovino, deceduto il giorno 8 ottobre 1954; ma mi sono sforzato invano, perché in quell’uomo di Dio l’agire era sempre identico e, anche sul letto di morte, col suo comportamento non ha fatto altro che seguire lo stesso modo di agire a cui si è attenuto durante tutta la vita.
Se fosse stato diversamente non sarebbe apparso così grande come nel vederlo morire. La sua virtù caratteristica era la calma, la serenità, la pace. Lo si stuzzicava col dirgli che era stato il superiore del a lasciate stare! non toccate! ».
E questa serenità la comunicava a chi si rivolgeva a lui. Se pure i nervi ti arrivavano alla cima dei capelli, se fossi stato così nervoso da volerti imbestialire, bastava presentarti a lui per essere disarmato. Dalla sua stanza dovevi uscire coll’animo rasserenato.
Era così abile che, pur incoraggiando te, non dava giammai torto agli altri, anche se questi, senza alcun dubbio, si trovavano dal lato del torto. Così agiva sempre e specialmente in pubblico. Nessuno lo ha mai sentito parlar male degli altri.
Ora un uomo che è vissuto così, è anche morto così. Nei diciassette ultimi giorni di malattia è morto, non una volta, ma almeno quindici volte. Chi lo assisteva si domandava se non fosse quello un continuo morire.
Eppure egli non si faceva né caldo né freddo. Erano più gli altri a soffrirne che lui a preoccuparsene. Parlava e scherzava come se si fosse trattato di cosa da nulla. Quando per incoraggiarlo gli si diceva che stava meglio, si faceva una risata e diceva: «Eh! che bisogna partire!». E sembrava che per lui la morte fosse come una gita dalle sue Suore di Portici, quando si intolettava e sembrava ringiovanito.
In questo è la sua grandezza: è stato in vita sempre sereno; non ha cessato di esserlo nella morte.
P. Francesco Minervino
________________