IL VIAGGIO AL CALVARIO

36. IL VIAGGIO AL CALVARIO DI GESÙ

I. I condannati escono dal pretorio e, tra di essi, si avvia alla morte anche il re del cielo, l’Unigenito di Dio, carico della sua croce: Ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio (Gv 19,17). […]
Che spettacolo orrendo: il Messia, che pochi giorni prima era stato acclamato come il Salvatore del mondo e accolto con applausi e benedizioni dal popolo, che gridava: Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Mt 21,9); lo stesso Messia ora cammina legato, schernito e maledetto da tutti, con addosso una croce, per andare a morire come un furfante! O eccesso dell’amore divino: un Dio si lascia giustiziare dagli uomini, per amore di essi! Si troverà mai un uomo che non ami questo Dio? […]
Anima mia, immagina di trovarti a vedere Gesù che passa in questo doloroso viaggio. L’amante Redentore è condotto alla morte come un agnello portato al macello (cf. Is 53,7). Egli è così dissanguato e stanco che, per la debolezza, appena può reggersi in piedi. E’ tutto coperto di ferite, ha un fascio di spine sulla testa, un pesante legno sulle spalle e un soldato lo tira con una fune. Guardalo andare col corpo curvo, con le ginocchia tremanti, perdendo sangue: cammina con tanta pena che ad ogni passo sembra stia per spirare l’anima.
Domandagli:  Agnello divino, non sei ancora sazio di dolori? Se con essi cerchi di guadagnarti il mio amore, non soffrire più, perché ora voglio amarti come tu desideri! “No, egli dice, non mi basta. Sarò contento soltanto quando sarò morto per amor tuo”. Gesù mio, dove stai andando? “Vado a morire per te, risponde. Non me lo impedire. Ti chiedo e raccomando solo questo: quando mi vedrai morto per te sulla croce, ricordati dell’amore che ti ho portato; ricordatene e amami”. […]
Sulle sue spalle è il segno della sovranità (Is 9,6). Tertulliano dice che la croce fu il nobile strumento con cui Gesù acquistò tante anime. Infatti, morendo su di essa, egli scontò la pena dei nostri peccati, e così ci riscattò dall’inferno e ci fece suoi: Egli portò i nostri peccati sul suo corpo sul legno della croce (1Pt 2,24). Dio lo caricò di tutti i peccati degli uomini: Fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti (Is 53,6); quindi noi, con i nostri peccati, abbiamo reso più pesante la croce che egli portò al Calvario. […]

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24).
Mio Redentore, tu innocente cammini davanti a me con la tua croce e m’inviti a seguirti con la mia: io non voglio lasciarti. Se in passato ti ho lasciato, riconosco di aver fatto male. Ora dammi pure la croce che vuoi: qualunque sia, io l’abbraccio e con essa voglio accompagnarti fino alla morte. Usciamo… fuori dell’accampamento, portando il suo obbrobrio (Eb 13,13). Come possiamo, Signore, non amare per amor tuo i dolori e gli obbrobri, dal momento che tu li hai amati per la nostra salvezza? Tu ci inviti a seguirti. Ebbene, vogliamo seguirti e morire con te; ma tu dacci la forza, che ti domandiamo e speriamo per i meriti tuoi. […]
Gesù mio, tu vuoi che io ti segua. Per questo mi comandi di amarti e, quando non voglio amarti, mi minacci l’inferno. Ma a che serve  minacciarmi le miserie eterne? La mia miseria più grande sarebbe quella di non amare te, Dio amabilissimo, mio Creatore e mio Redentore. Per giusto castigo dei miei peccati, io meriterei la condanna di non poterti più amare. Ma tu, che mi ami ancora, continui a comandarmi di amarti, ripetendomi al cuore: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza (Mc 12,30). Ti ringrazio, Dio mio, di questo dolce precetto: per obbedirti, io ti amo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. Al presente preferisco ogni pena, piuttosto che vivere senza amarti. Gesù mio, aiutami a fare sempre atti d’amore verso di te e ad uscire da questa vita con un atto d’amore, per venire ad amarti faccia a faccia in paradiso, dove ti amerò senza imperfezione e senza interruzione, con tutte le forze, per tutta l’eternità.
Madre di Dio, prega Gesù per me. Amen. (AA, XI,4-8)

Duetto tra l’anima e Gesù Cristo (1760).

E’ il testo di una composizione musicale di sant’Alfonso, per voci e strumenti, che il Santo fece eseguire nel 1760. I critici lo hanno giudicato un piccolo capolavoro. Il Tannoia parla di esso nella Vita del Santo, tomo I, p. 9; ma se ne era perduta ogni traccia. Nel 1850 il cavaliere Frederick W. de Liguoro lo trovò nella Biblioteca Reale del British Museum di Londra.

Recitativo
Giudice ingiusto e iniquo,
dopo che tu più volte
dichiarasti innocente il mio Signore,
or così lo condanni
a morir da ribaldo in una croce!
Barbaro, a che serviva
condannarlo ai flagelli,
se condannarlo a morte poi lo volevi?
Meglio, alle prime voci dei suoi nemici
condannato l’avessi a questa morte
a cui, malvagio, lo destini e mandi.
Ma oimè qual misto d’armi,
di grida e pianti rumor confuso io sento!
E quale mai è questo
suono ferale e mesto?
Ahimè! quest’è la tromba
che forse pubblicando va la condanna
del mio Signore a morte.
Ma, oh Dio, ecco, ahi dolore!
Il mio Gesù, che afflitto
scorrente sangue e con tremante passo
appena oimè può camminare, e intanto
del suo divino sangue
segna la terra dove posa il piede.
Una pesante croce preme
le sue piagate e tormentate spalle;
e barbara corona
d’acute spine in testa
il venerando suo capo circonda.
Ah, mio Signor, l’amore
re ti fece di scherno e di dolore!

Duetto tra l’anima e Gesù
Anima: Dove, Gesù, ten vai?
Gesù:   Vado a morir per te.
Anima: Dunque per me a morire
ten vai, mio caro Dio!
Voglio venire anch’io,
voglio morir con te.
Gesù:      Tu resta in pace e intendi
l’amore che ti porto;
e quando sarò morto,
ricordati di me.
Restane dunque, o cara,
e in segno del tuo amore
donami tutto il cuore
e serbami la fé.
Anima:     Sì, mio Tesor, mio Bene,
tutto il mio cuor ti dono;
e tutta quanta io sono,
tutta son tua, mio Re.

Ascolta il Duetto nella esecuzione del Coro Alfonsiano
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