S.Alfonso e la formazione delle coscienze
mediante l’annuncio del Vangelo
Nel discorso rivolto ai Vescovi della Campania nell’ultima loro visita ad limina il S. Padre Giovanni Paolo II ha detto: “Sia il Vangelo di Cristo a formare le coscienze della vostra gente”. Secondo il pensiero del Papa è necessaria una ripresa dell’annuncio cristiano nella sua interezza e nella sua vitalità. Tutto ciò è possibile con una rinnovata evangelizzazione. Come proposta di soluzione il Pontefice sottolinea l’esigenza prioritaria e condizionante della catechesi, come prima risposta al bisogno dell’evangelizzazione. Poi dice: “La catechesi è apostolato della Chiesa… L’apostolato è anche dei laici… che possono farsi interpreti ed annunciatori della fede cristiana nella catechesi. In ogni parrocchia operino insieme con i sacerdoti e religiosi, laici qualificati e ben preparati”.
Le Cappelle serotine, strumento di formazione dei laici
Sant’Alfonso intuì questa esigenza e cercò di attuarla in un contesto diverso di mentalità e di ecclesiologia. Il suo orientamento fontale ricalca quello del Papa: formare le coscienze della gente mediante l’annuncio del Vangelo. Si può certamente dire che sant’Alfonso fu catechista attento ai segni del suo tempo. Egli può ben considerarsi il precursore del movimento laicale in senso moderno e cattolico.
È sua l’intuizione dei raduni di piazza e delle Cappelle Serotine per un’educazione di base: cristiana, civile e morale. Lazzari, Saponari, Muratori, Barbieri, Falegnami, Facchini ed altri operai “che goder volevano de’ suoi ammaestramenti” incominciarono ad unirsi insieme nelle piazze intorno ad Alfonso da poco sacerdote.
In seguito “Alfonso anima i più zelanti dei suoi penitenti a voler far tra essi le solite spirituali conferenze, e con questo ne risulta la grand’Opera delle Cappelle Serotine” (Tannoia, I, pag. 47).
La gestione di queste “assemblee” coinvolse pienamente ed unicamente i laici. E questi furono molti. Sant’Alfonso ed altri sacerdoti ne facevano parte come tutti gli altri. Alcuni di questi laici sono ancora ricordati: Nardiello, il venditore ambulante, Chianese, il vasaio, Agnello fabbricatore di fuochi artificiali, Pietro Barbarese, maestro di scuola, che insegnò agli scugnizzi a leggere, scrivere e… a pregare; altrettanto fece Luca Nardone, militare più volte disertore e dimesso dalla milizia; un barbiere al largo della Pignasecca faceva da teologo, Direttore di anime e catechista.
Il card. Pignatelli con soddisfazione dovette costatare che in città c’erano laici “che operavano tanto bene”. In queste adunanze tutti potevano partecipare: non c’erano tesseramento né tasse d’iscrizione. C’era più gioia se accorreva “gente discola o scostumata”. Con la partecipazione di giovani ed anziani si raggiungeva sempre il numero di cento, centotrenta, centocinquanta.
Nel programma feriale e festivo di preghiera c’era sempre una mezz’ora di catechismo sui doveri cristiani e l’esercizio pratico della meditazione. Sant’Alfonso credeva che in ogni uomo battezzato, anche il più peccatore, opera lo Spirito Santo e che una volta educati e convertiti i laici possono essere catechisti della fede e maestri spirituali. Tanti di essi si dedicarono a Dio come Laici in varie Comunità.
Le missioni rurali per formare i più abbandonati
Altra intuizione alfonsiana sono le Missioni popolari rurali. Il Santo era convinto che la fede si è propagata per mezzo della predicazione e che per mezzo di essa il Signore vuole che si conservi. Egli non riteneva sufficiente che il cristiano conoscesse una volta per tutte ciò che deve fare, ma giudicava necessario che ogni fedele ascoltasse continuamente la divina parola per ricordare a se stesso l’importanza dell’eterna salute e i mezzi per conseguirla. Il santo Dottore propone quindi un annuncio ed un ascolto continuato della Parola che diventi memoria attualizzante del piano di salvezza per ogni uomo e per ogni tempo.
Ai missionari e ad ogni operatore pastorale ricorda che “per salvare le anime non basta predicare, bisogna predicare come si deve. Le sole parole parlano all’orecchie e non entrano nel cuore; solamente chi parla al cuore, cioè chi sente e pratica quel che dice questi parlerà al cuore degli altri e li muoverà ad amare Dio”. Queste espressioni già fanno capire lo stile caratteristico del più celebre missionario napoletano, inclinato più a conversare e convincere. I suggerimenti non mancano: “Per ben predicare in primo luogo è necessaria la dottrina e lo studio. In secondo luogo è necessaria la buona vita. Sono disprezzate le prediche di quel predicatore del quale è disprezzata la vita. Per terzo è necessario predicare non per interesse ma per la gloria di Dio“.
La predicazione all’apostolica per suscitare la conversione
Particolare attenzione poi dedica sant’Alfonso ai destinatari della sua predicazione. Egli fece una scelta fondamentale per i più abbandonati che scorse nelle campagne del Regno di Napoli. Erano poveri di tutto ed anche della Parola di Dio. Ad essi adattò la vita, la sua cultura, la sua fede ed il suo sacerdozio. Ebbe seguaci che ancora oggi vivono lo stesso spirito: i Redentoristi. Nella sua operetta Selva di materie predicabili ed istruttive, scritta nel 1760, scrive: “Bisogna predicare secondo le capacità della gente che ascolta” ed insiste di predicare “alla semplice e popolare e non solo nelle Missioni e negli Esercizi Spirituali ma in tutte le Prediche che si fanno al popolo. Avanti a Dio tanto son care le anime dei letterati quanto dei rozzi; e il Predicatore è tenuto a cercare il profitto degli uni, come degli altri”.
Quando si vuole cercare lo specifico delle missioni popolari alfonsiane bisogna tra l’ altro rifarsi a ciò che egli scrive: “Quando si parla alle genti delle campagne si ha da usare allora l’eloquenza la più popolare, anzi la più infima che possa usarsi, affin di proporzionare ciò che si predica al grossolano intendimento di quei poveri campagnuoli che sentono. Bisogna che il Predicatore si figuri d’essere come uno di loro. Perciò le parole devono essere popolari ed usuali, i periodi corti e sciolti, imitando lo stesso modo di ragionare, che sogliono praticare tali sorti di persone tra di loro.
Insomma tutto lo studio del predicatore ha da essere in far capire quanto dice, ed in muovere a fare ciò che esorta… E siccome deve essere facile lo stile così debbono essere facili le dottrine… L’ingegno sta in esporre schiettamente le verità eterne, l’importanza di salvarsi, i pericoli di perdersi ed i mezzi da usare per salvarsi, in modo che capiscano tutto: questo è quello spezzare il pane che domanda il Signore dai predicatori”.
Una catechesi continua dell’amore
Nel progetto originario di Missione popolare pensato ed attuato da sant’Alfonso è previsto un Catechismo picciolo, cioè Dottrina cristiana da insegnarsi ai fanciulli (cfr Selva…, III, c. V) ed un Catechismo grande, o sia Istruzione al popolo (cfr Selva …. III, c.VI), che sant’Alfonso considerava come “uno degli esercizi più importanti della Missione”.
L’ultimo biografo non esita a dire che “Missionario e vescovo, Alfonso fu un appassionato catechista” (cfr Rey‑Mermet, Il Santo del secolo dei lumi, p. 331). Su richiesta del cardinal Spinelli nel 1744 pubblicò un Compendio della Dottrina Cristiana “più concreto e meno erudito della Breve Dottrina del Bellarmino, è anche più pastorale” (Rey‑Mermet, op .cit., pag. 486).
Quand’era vescovo di Sant’Agata dei Goti compose un Breve dottrina cristiana in 5 pagine, ordinando che venisse letta nei giorni festivi da tutti i celebranti. Nelle visite pastorali prima della celebrazione del Vespro faceva radunare i fanciulli della parrocchia e personalmente assisteva all’esame della dottrina cristiana.
Non vorrei trascurare un tratto dell’insegnamento catechetico di sant’Alfonso. Si può dire che Egli fu un catechista dell’amore. Nelle pagine alfonsiane c’è un continuo ritorno al tema dell’amore. La ragione è che secondo sant’Alfonso la vita cristiana è tutta fondata sull’amore e non sulla paura. “Dio ci ama assai” Egli scrive in una sua operetta ed in una sua lettera dice: “L’amare Gesù Cristo è l’opera più grande che possiamo fare in questa terra”. Il suo aureo libro “La pratica di amare Gesù Cristo” può definirsi un testo di Catechesi biblica sull’amore cristiano. Con esso Egli vuole dirci che l’amore di Gesù deve essere la leva e la ragione di tutte le nostre scelte e di ogni nostra speranza.
Sant’Alfonso voleva che nelle Missioni non si parlasse soltanto della morte, dell’inferno, del giudizio, ma anche del paradiso perché era convinto che le conversioni fatte per il solo timore dei castighi sono di poca durata. Ai confessori ricordava che “se il peccatore non si vede amato non si risolve a lasciare il peccato”.
Chi poi evita il peccato solamente per paura dell’inferno non è buon cristiano e non sarà mai santo. L’Apparecchio alla morte (1758) è un altro prezioso testo in cui il Santo prospetta un programma d’impegno da vivere “per” e “con” amore: la preziosità del tempo, l’importanza della salvezza, la misericordia di Dio, la necessità della preghiera, la perseveranza nel bene, la confidenza nel patrocinio della Madonna, l’Eucaristia, l’uniformità alla volontà di Dio spronano alla vigilanza. In questi libri come in tutti gli altri è facile trovare una catechesi semplice e pratica che apre l’animo alla fiducia. A tutti sant’Alfonso intende rendere familiare la convinzione che l’amore e non la paura “è il più grande di tutti i doni” ricevuti per la nostra felicità. È un dono che deve fortificarsi nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera. Sant’Alfonso è certo che “Chi ama Gesù Cristo non ha paura di niente“.
Afferrato da Cristo e dal suo Mistero
Un’ultima affermazione potrebbe essere che sant’Alfonso è il catechista più soggiogato da Gesù Cristo. A livello di convinzione personale egli pensa fermamente: “L’amore di Gesù Cristo ci fa violenza, ci mette con le spalle al muro per amarlo e farlo amare dagli altri”. Ai suoi religiosi e al Popolo di Dio insinua: “Gesù Cristo è il capo di tutti i missionari. Il nostro impegno è lo stesso che esercitò Gesù Cristo e dopo di lui i SS. Apostoli. Chi non ha lo spirito di Gesù Cristo e lo zelo dei SS. Apostoli non è atto per il ministero”. Da essi esigeva l’amore a Gesù Cristo perché “Chi non si commuove in vista dell’amore di Gesù Cristo, o è pazzo, o ha perduto la fede“.
A livello operativo e del contenuto Egli afferma: “Dobbiamo predicare Gesù Cristo”. A questa sorgente d’acqua viva sant’Alfonso attingeva assiduamente nella meditazione, prima di ogni impegno pastorale. Ha fatto come ha scritto: “Il predicatore bisogna che predichi più colle ginocchie che con le parole, che sia amante dell’orazione da cui prenda i sentimenti che poi deve comunicare agli altri”.
Dalla visita quotidiana a Gesù Sacramentato e dalla contemplazione di Gesù Crocifisso il Santo ha attinto abbondantemente alle sorgenti della salvezza per dissetare i più poveri.
Il mistero di Gesù Redentore fu da Lui mirabilmente annunciato in modo da tutti sperimentabile: nell’Incarnazione del Figlio di Dio, nella Passione e Morte di Gesù Cristo, nell’Eucaristia.
Il Santo era convinto che Gesù volle fare la sua comparsa nel mondo da Bambino per dare maggiore confidenza ai peccatori, che per Lui sono i più poveri.La Passione e la Morte di Gesù sono la fonte dell’amore: “Gesù, egli scrive, è da pochi amato perché pochi sono quelli che considerano le pene che ha patito per noi; ma chi le considera spesso, non può vivere senza amare Gesù Cristo“.
L’Eucaristia poi gli ha fatto cambiare stile di vita: “Io per questa devozione di visitare il Sacramento benché praticata da me con tanta freddezza ed imperfezione, egli scrive, mi trovo fuori del mondo“.
Per non sbagliare in questa missione e nel servizio pastorale e per essere fedele a Gesù Redentore sant’Alfonso scelse per sé e per la sua Congregazione come collaboratrice e maestra la Madonna, prima serva del Signore e del Popolo cristiano, e dal suo cuore di Madre attingeva tutto ciò che doveva scrivere e dire del suo Figlio.
(L’Osservatore Romano, 12 febbraio 1988)
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Riportato in
Sulle orme di S. Alfonso
di Antonio Napoletano
Valsele Tipografica, Napoli 1989, pp. 51-55
Titoletti e ricerca fotografica: Salvatore Brugnano