Il concetto di norma in S. Alfonso

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al nostro sito

Il concetto di norma in  Alfonso de Liguori;
prospettive giuridiche ed implicazioni morali.

Altro [piuttosto arduo] contributo
del dott. Gianluca Giorgio

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(Si ricorda che i lettori possono inviare propri contributi che verranno pubblicati a discrezione dell’Amministratore del sito).

Il dott. Gianluca Giorgio scrive ancora:
Caro Padre, le invio un altro  piccolo contributo riguardante i rapporti fra la morale Alfonsiana e la norma giuridica, che ritengo un campo assolutamente interessante e degno di essere approfondito. – Sottolineo l’importanza del sito in quanto, in forma assolutamente spontanea e gratuita, permette di portare a conoscenza dei lettori l’opera del vostro Fondatore: la sua vastità del pensiero e la profondità delle sue intuizioni sono utili e meritano essere analizzati.

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Nello scenario del XII sec. ed anche in quello di oggi, esistevano diversi correnti filosofiche e teologiche che avevano diverse prospettive. Difatti lo studio dei comportamenti dell’uomo e della tensione dell’uomo verso Dio lega fortemente  come  due binari la teologia e la morale. In questa seconda materia,  il discorso ed il metodo che  Alfonso applicherà innoverà completamente la teologia morale del suo tempo riportando alla luce la bellezza dell’uomo, in quanto creatura dell’Altissimo.

Ma dobbiamo fare un passo indietro; all’epoca del santo napoletano regnavano, nella teologia, due correnti differenti ed esse erano; il lassismo che consisteva nel proporre una morale, eccessivamente rilassata e fondata esclusivamente sulla bontà paterna di Dio; ed al suo opposto, una morale rigida che andava per la maggiore ed essa si fondava sui concetti della confessione quale Tribunale e del giudizio come strumento di emenda da parte di Dio.

Con chi si schiera Alfonso? con nessuna delle due correnti di pensiero, in quanto, una troppo sbilanciata verso la pena e l’altra troppo eccessiva rispetto all’azione morale cosi dileguata dalla responsabilità.
Difatti proprio per questo elaborerà una terza via così detta equiprobabiliorista.
Essa prevede, con intelligente acutezza, l’amore a Dio, prima di tutto e la responsabilità della coscienza, formata a tale sentimento, in quanto chi ama  è soggetto libero.

 La risposta di Alfonso giganteggia, con precisa  affermazione di bene, nella sua Theologia Moralis[1] dove si riallaccia a tutta una schiera di esempi nei quali fa risplendere questo principio. Ma il santo partenopeo, per portare i principi evangelici, all’interno della teologia, si avvale dello strumento della norma intesa nell’accezione morale.
Tali principi furono analizzati anche nell’opera del redentorista tedesco Padre Bernard Haring C.Ss.R, il quale ci ha lasciato, nella sua opera “Liberi e Fedeli in Cristo”,[2] l’applicazione della morale Alfonsiana nella vita di tutti i giorni.

Ora  giova premettere un altro collegamento, alla presente trattazione, un altro collegamento, alla luce dell’impostazione morale odierna; ovvero quali sono i rapporti fra la morale e la norma? ovvero a chi si orienta l’una e l’altra?
In tale ottica, dunque, si osserva come il diritto nasce per l’uomo, per la realizzazione di un qualcosa di più grande di esso che è la giustizia (ontologicamente intesa ).
 In tale posizione, sarà facile notare  come “il diritto quindi non sta solo al servizio della giustizia ,ma in genere al servizio della morale riferendosi però alla giustizia”.[3]

Possiamo dunque dare un nome e conferire un’accezione al fondamento di questa regola, che è la giustizia. Infatti, posta in dimensione verticale ed al vertice di una piramide, essa rappresenta quel quid novum et certum ,a cui il giurista tende, nell’affermazione di un sistema giuridico e politico complesso, ed il teologo applica per la realizzazione dell’uomo .

Da ciò se ne può trarre senza dubbio qualcosa di utile alla nostra ricerca.
Difatti il senso della giustizia di una norma, non è  una categoria dottrinale che viene dopo la nascita della regola di diritto, bensì viene prima.
Con ciò si sottolinea come, prima nasce l’idea di buono e giusto, poi la norma che cala , nella fattispecie astratta, la propria congruenza.
In tale posizione è logico assumere la regola più grande,  come “Il diritto si orienta al giusto; la morale al bene”[4].
Il diritto naturale (ovvero quello insito  nella coscienza dell’uomo) è una parte della legge morale naturale, che contiene solo un ambito della categoria teologica.

Adesso il campo si è aperto e si vede chiaramente come le differenze fra le due realtà appaiono essere maggiori, in quanto la norma giuridica si ispira per sua naturale tensione al bene, ed al giusto ma lo fa come anelito verso qualcosa di alto e grande (ad esempio la giustizia ,la bontà etc.),mentre la norma morale, già al suo interno contiene tali caratteristiche, in quanto, nasce in tale direzione orientata.

Non sarà difficile difatti aspirare, come morale (genninsung) ad un atteggiamento di maggiore apertura all’altro come vero bene e quindi da proteggere e da tutelare.
La svolta teologica circa tale atteggiamento apportatore di maggiori aperture, condotta al seguito del Concilio Ecumenico II(1964),seguirà uno sviluppo armonico della persona umana e di conseguenza della norma morale ,anche se in ambito storico e quindi, precedentemente al concilio citato, si erano avuti segni di una svolta ,oltre che con p. Haring C.SS.R, nel suo  celebre “Das gesetz Christ”(1954), anche con l’opera del padre F. Ter Haar C.Ss.R, con il suo testo[5] affronta in maniera originale il delicato problema del “come porsi” rispetto ad una regola giuridica e morale, ma siamo ancora distanti dalla svolta conciliare e non certo con le prospettive rivolte alla persona come “antropos“.

Di conseguenza, la regola in morale non sarà casistica distribuzione di posizioni di censura, ovvero “non fare il male “, bensì  rappresenterà un invito pressante e continuo a “fare il meglio“, (inteso in forma di maggiore spendibilità dell’uomo verso le prospettive di bontà, presenti in lui ed ancora non attuate).

In tale ambito il suo confine sarà dato da un Dio al vertice della propria azione ed un punto di arrivo che è l’uomo stesso.
In questo paradigma, di assoluto vertice, sta il suo agire.
Sullo stesso punto, è bene osservare come infatti, la svolta verso questo confine, dato dall’essere umano è stata sempre maggiormente sviluppata ed accresciuta dalla teologia morale ,sopra tutto negli ultimi trenta anni ,se si pensa all’opera del teologo tedesco Karl Rahner in cui si parla di “svolta antropologica [6], proprio per indicare, come al centro della teologia e della norma morale, c’è il concetto amplissimo di uomo.

In tal senso, dunque, anche la storia è quindi la sola occasione per l’uomo di incontrare la “parola“, che illumina e fonda l’esistenza e verso la quale è protratta la ragione umana.

Dalle premesse fatte si evince come la differenza sostanziale fra la norma morale e giuridica, sta nel fatto che nella prima la categoria del giusto e del bene è insita in sé ,mentre nell’altra essa continua tensione di rimando verso le alte prospettive del bene.

Chiarite le distinte situazioni e per tornare alle applicazioni, sopra richiamate, vediamo come il disegno morale del Fondatore dei Redentoristi, a distanza di duecentocinquanta anni dalla sua ideazione teologica, appare essere ancora straordinariamente moderno ed afferente ai principi espressi dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).

In conclusione giova affermare come davvero la peculiarità del disegno alfonsiano rispetta l’uomo e lo valorizza come creatura nata dall’amore del Padre.

dott. Gianluca Giorgio

S. Alfonso attingeva le sue idee e convinzioni nella contemplazione dell'amore "pazzo" di Dio per l'uomo. (Particolare di un quadro che si trova a Michalowce, Slovacchia orientale).


[1] ALFONSO DE LIGUORI ,Theologia Moralis, prima edizione,1748.
[2] P.BERNARD HARINGC.Ss.R, Liberi e fedeli in Cristo, Edizioni Paoline,1976.
[3]   BERNARD HARING C.Ss.R,La legge di Cristo,,1954,Morcelliana ,Brescia.
[4]   Ibidem ,p,243
[5]F.TER HAAR C.Ss.R, Casus Coscientiae de huius prencipuis huius aetatis peccandi occasionibus,Marietti,1939
[6]  ROSINO GIBELLINI, La teologia del XX secolo, op. cit. , p. 252.